Simon con Meloni © nc
La clamorosa sconfitta alle presidenziali di George Simion, il Donald Trump rumeno. Nonostante gli scossoni, l’Europa rimane unita. Le votazioni per il ballottaggio delle presidenziali rumene, svoltesi il 18 maggio scorso, sono state vinte dal sindaco di Bucarest Nicusor Dan, fondatore, nel 2016, del partito di stampo liberale Unione Salvate la Romania - USR -, nato con l’intento di combattere la corruzione. Fin dalla sua nascita, il partito si dichiara europeista. Il candidato sconfitto è George Simion, dal 2019 presidente di Alleanza per l’Unione dei Romeni - AUR -, partito di estrema destra che nel corso degli anni ha assunto posizioni euroscettiche.
I cittadini si sono recati alle urne per la prima volta il 4 maggio, e hanno visto trionfare Simion, che ha ottenuto più del 40% delle preferenze, senza però raggiungere la maggioranza assoluta. Il successivo ballottaggio suggeriva la sua vittoria, e invece Dan ha ottenuto il 53,60% dei voti, contro il 46,70% dell’avversario. L’Europa può quindi tirare un sospiro di sollievo. George Simion ha 38 anni, e da quest’anno è il vicepresidente del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei, schieramento politico contrario al federalismo europeo di cui fa parte anche Fratelli d’Italia - Giorgia Meloni ne è stata presidente dal 29 settembre 2020 al 13 gennaio 2025 -.
Fin dall’inizio della sua carriera politica Simion si batte per l’unificazione di Romania e Moldavia, e per via delle sue iniziative è stato espulso più volte dal governo di Chisinau - come nel 2009 quando, insieme a Eugen Rusu, celebrò il 91° anniversario dell’annessione della Bessarabia (oggi suddivisa tra la Moldavia, a nord, e la parte meridionale dell’Ucraina, a sud) alla Romania, avvenuta nel 1918 e annessa poi all’UnioneSovietica nel 1940, per ritornare sotto il controllo rumeno l’anno dopo, diventando poi, fino al 1991 (anno della caduta del regime comunista) una repubblica federata dell’URSS con il nome RSS Moldava -.
Il leader di AUR dice di essere un grande ammiratore del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e infatti ne condivide alcuni atteggiamenti. Il primo è, appunto, quello di voler annettere un territorio straniero al proprio - Trump ha annunciato nei mesi scorsi l’intenzione di farlo con il Canada e la Groenlandia -. Attenzione: ogni stato ha il diritto di scegliere cosa fare del proprio destino, e i moldavi si sono già espressi sulla questione con il referendum del 1992, dove oltre il 70% della popolazione rifiutò l’annessione alla Romania.
A onor del vero bisogna dire che il caso di Trump con il Canada e la Groenlandia è molto diverso da quello di Simion con la Moldavia. Innanzitutto, Trump ha annunciato la volontà di ricorrere alle armi, mentre Simion no, e poi i rumeni e i moldavi hanno origini comuni, e le loro lingue sono praticamente identiche. Non così per statunitensi e canadesi, che, pur avendo una storia simile - entrambi i popoli discendono dagli abitanti dalle colonie della Gran Bretagna (per i secondi anche da quelle francesi) - hanno col tempo sviluppato differenti identità nazionali, come differenti sono le loro usanze e la politica interna dei paesi in cui vivono.
Per fare due esempi: il Canada è una monarchia costituzionale, mentre gli Stati Uniti una repubblica presidenziale; il sistema sanitario in Canada è universale, negli Stati Uniti no; la lingua ufficiale degli Stati Uniti è l’inglese, del Canada l’inglese e il francese. Per quanto riguarda la Groenlandia è superfluo anche parlare, poiché con gli Stati Uniti non ha mai condiviso alcunché. Oltre al desiderio di vedere ingrandito il proprio territorio, Simion e Trump condividono le ideologie alla base dell’estrema destra occidentale, come il ruolo centrale della triade cristianità, nazione e famiglia, e sono contrari al matrimonio gay. In comune hanno anche la prepotenza, che si manifesta con il non voler accettare la sconfitta.
Nel 2020 Trump perse le elezioni contro Joe Biden, il candidato democratico, e istigò gli elettori repubblicani a insorgere. E così, migliaia di cittadini assaltarono il Palazzo del Campidoglio a Washington DC, sede del parlamento federale, in quello che verrà ricordato come un colpo di stato. Simion invece, ha chiesto l’annullamento delle ultime elezioni, che lo vede sconfitto, per via di ingerenze esterne, ovvero Francia e Moldavia; la stessa motivazione, ma con protagonisti diversi, che portò all’annullamento delle elezioni di novembre, quando al ballottaggio - che poi non si è svolto - erano destinati il candidato sovranista indipendente Calin Georgescu e la liberale Elena Lasconi. Ovviamente Simion sperava nella vittoria di Georgescu, ma la magistratura costituzionale decise di non far proseguire le elezioni perché scoprì che paesi stranieri - Russia in particolare - interferirono nel processo di voto. Le elezioni rumene di maggio 2025 nascono per via dell’annullamento di quelle di novembre.
La differenza tra le due vicende consiste nell’autorità di chi si esprime; da una parte abbiamo la magistratura costituzionale, che ha verificato la presenza di ingerenze esterne e ha deciso di annullare le votazioni, e dall’altra un candidato sconfitto, che senza alcuna prova si scaglia contro due paesi - Francia e Moldavia - chiedendo l’annullamento del voto. I prepotenti non accettano di arrivare secondi, e devono uscire puliti da ogni situazione. Come Trump, anche Simion si mostra come il reale vincitore, che forze oscure - che per il tycoon erano le votazioni online, secondo lui truccate - hanno fatto sì che perdesse.
E ora arriviamo al punto più importante dell’articolo: Simion dichiara di essere eurorealista, termine che indica - questa la definizione della Treccani - “chi o che affronta con realismo i problemi connessi con il processo di integrazione europea”.
Una definizione, come si può leggere, alquanto vaga. In una recentissima intervista il leader di estrema destra ha detto di volere un’Europa delle nazioni, concetto che indica una cooperazione tra paesi, ma senza un’unione tra loro, che andrebbe a costituire o una federazione di stati - sul modello degli Stati Uniti d’America - o di uno stato unitario decentrato - come il Regno Unito -, rigettando l’idea degli Stati Uniti d’Europa.
Eppure un’Europa unita più di quanto non lo sia già garantirebbe ulteriore protezione da conflitti interni. Non scordiamoci che la Prima e la Seconda guerra mondiale sono state favorite dal fatto che l’Europa fosse un groviglio di nazioni autonome. L’Unione Europea, fondata nel 1957 per assicurare la pace tra i suoi membri, ancora oggi sta svolgendo al meglio la sua missione. E in un periodo dove viene messo addirittura in discussione da capi di governo il valore del Manifesto di Ventotene, che promuove l’unità dell’Europa ed è uno dei testi fondanti dell’Unione Europea, scritto da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi (con l’aiuto di Eugenio Colorni) durante l’esilio in periodo fascista sull’isola di Ventotene, significa che qualcosa non sta andando per il verso giusto.
Il capo di governo in questione è Giorgia Meloni, che lo scorso aprile ha dichiarato che il documento è contrario alla sua idea di Europa, poiché alcuni passaggi - come la proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta - sono antidemocratici e antiliberali, non cogliendo il contesto storico in cui quelle parole vennero scritte, ovvero nel ben mezzo della guerra, scatenata da stati fascisti che esiliavano i contestatori e deportavano nei campi di sterminio ebrei e minoranze.
La realtà è che l’Unione Europea, per come la conosciamo oggi, è una panacea a molti mali che affliggono diverse parti del mondo. La vittoria del candidato di centrodestra Dan, filoeuropeo, contro il sovranista Simion, è una vittoria non solo per la Romania, ma anche per il nostro continente.
Paolo Insolia


