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La poetessa e scrittrice Yuleisy Cruz Lezcano ha dedicato una poesia a Salvatore Parlato, l’operaio sessantaquattrenne deceduto recentemente a Piombino in un incidente sul lavoro. L’autrice, da sempre attenta ai temi sociali e alla dignità umana, ha voluto trasformare il dolore per una tragedia individuale in un gesto di solidarietà collettiva e in un atto di denuncia civile. La poesia, intitolata L’uomo dimenticato, si fa portavoce di una coscienza condivisa, che riflette sulla fragilità del lavoro e sulla necessità di una cultura fondata sul rispetto e sulla sicurezza.
Nel testo, Lezcano unisce immagini di grande forza evocativa a una scrittura intensa e controllata. Attraverso il linguaggio simbolico della natura e della materia – il ferro, il sangue, la polvere – la poesia restituisce la tensione tra vita e morte, tra memoria e oblio. L’immagine del “casco vuoto” che “luccica nel cortile” diventa metafora di un’assenza che pesa sul mondo del lavoro e sulla coscienza collettiva. Ogni verso sembra interrogare il lettore, chiedendo di non voltarsi dall’altra parte, di riconoscere nel sacrificio di un uomo il riflesso di un sistema che troppo spesso dimentica il valore umano dietro la produttività.
L’autrice definisce il testo “un atto di testimonianza e di dissenso”, ponendolo oltre il semplice ambito poetico. L’uomo dimenticato è un richiamo etico e civile: un modo per restituire voce e dignità a chi, nel silenzio delle fabbriche e dei cantieri, continua a perdere la vita. L’opera vuole essere anche un segno di vicinanza alla famiglia di Parlato e a tutti i lavoratori che ogni giorno affrontano rischi inaccettabili.
L’uomo dimenticato
Le margherite hanno congelato i germogli
nella coscienza della forza fugace,
nell’oblio della morte dolorosa
dove trascorre il sedimento d’istanti.
Risalita dal fiato un’immagine strazia,
fugace, sfuggita dal petto: scintilla
che tenta un varco nell’inerzia del mondo,
tra gli ingranaggi d’un tempo senza eco.
Il ferro, sazio di mani, s’è voltato,
ha preso forma il silenzio nel metallo;
il sangue s’è fatto cifra e dimenticanza,
l’aria un confine di polvere e rimorso.
Un casco vuoto luccica nel cortile,
come luna corrosa da troppa attesa,
mentre l’ombra del corpo si dilata
fino a confondere i limiti del giorno.
E in alto, un volo di rondini tardive
taglia la ruggine e ne porta il nome,
soffiando vita a un cielo che non sente,
tra scaglie di luce e residui di voce.
Ma nulla resta se non il suo respiro
che vibra piano nel ventre dell’officina,
eco sospesa tra i ferri e la memoria,
nell’abisso sottile che chiamiamo giustizia.
Con questo contributo, Yuleisy Cruz Lezcano rinnova l’impegno della poesia come strumento di memoria, denuncia e partecipazione. In un tempo in cui la cronaca tende a consumare rapidamente le tragedie, la sua voce riafferma il potere della parola come forma di giustizia simbolica, capace di trasformare il dolore in consapevolezza e di dare continuità al ricordo di chi non dovrebbe mai essere dimenticato.


