Paolo Cochi © nc
Articolo di Paolo Cochi: "Come avevo previsto ed anticipato, il focus della richiesta, trattava di elementi vecchi e già valutati di cui mi occupai personalmente con un reportage nel 2015 e che gli stessi Avvocati Marazzita e Filasto' avevano già proposto parzialmente in revisione nel 2004"
Dopo l'inammissibilità riproposta dai legali di Paolo Vanni circa l'innocenza di suo Zio Mario dai legali Antonio Mazzeo e Valter Biscotti, di cui ero consulente fino al luglio dello scorso anno, opponendomi alla richiesta di revisione del processo, sulla base di quei soli elementi ritenendoli giudiziariamente insufficienti per Genova. Ma a quarant’anni dall’ultimo delitto sembra ripartire, sotto il sole estivo, da un accertamento disposto dalla Procura un accertamento genetico condotto dal professor Ugo Ricci. Il genetista, avrebbe stabilito che Natalino – il bimbo di sei anni e unico sopravvissuto al primo degli otto duplici omicidi attribuiti al serial killer – non sarebbe figlio di Stefano Mele, di uno dei fratelli Vinci, Giovanni, Francesco e Salvatore, indagati (e poi prosciolti da ogni accusa) nell’ambito della cosiddetta “pista sarda” in quanto avevano tutti degli alibi (vedi foto verbali alibi e audio con link). Infatti la pista sarda fu chiusa nel 1989 dal G.I. Rotella, ma ciclicamente torna a far capolino proprio quando ci sono situazioni di stallo o scomode. Una "rivelazione" quella de LA NAZIONE che riapre vecchi interrogativi e che ha il sapore di una "non-notizia".
Natalino Mele, sopravvissuto al Mostro, figlio di uno dei fratelli Vinci?
"Già nel 1986 il generale dei Carabinieri Torrisi - aveva ventilato l'ipotesi che Natalino non fosse il figlio di Mele. Questo perché la madre, Barbara Locci - uccisa insieme all'amante Antonio Lo Bianco nel primo dei duplici omicidi attribuiti al Mostro - frequentava anche altri uomini, tra i quali Francesco e Giovanni Vinci e Salvatore, tutti fratelli. Sembrerebbe da quanto riportano da alcuni giornali locali che, uno di questi possa essere il padre del bambino".
"Se anche fosse vero, non cambierebbe nulla. Cosa centra con i delitti la paternità del bimbo?
"Il dato non sposta l'impianto investigativo. Infatti né Salvatore Vinci, né gli altri fratelli, né tanto meno Carmelo Cutrona - altro amante della Locci - sono mai stati collegati direttamente ai delitti avvenuti dopo il 1968.
Anzi, tutti avevano alibi solidi, come accertato definitivamente nel 1989 con l'archiviazione della 'pista sarda'".
La ricostruzione del duplice omicidio di Signa, datato 1968
Barbara Locci e Antonio Lo Bianco furono uccisi a colpi di pistola la notte tra il 21 e il 22 agosto del 1968 mentre erano appartati in auto a Signa, fuori Firenze. Con loro c'era Natalino, figlio di sei anni e mezzo della donna, che miracolosamente si salvò. Ore dopo, il bambino arrivò a casa di un vicino. "Ho sonno", gli disse. "Il mio babbo è ammalato. La mia mamma e lo zio sono morti". "Per anni si è pensato che fosse stato accompagnato da qualcuno, ma non è vero", spiega Cochi.
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"Dai verbali originali emerge chiaramente che aveva i calzini strappati e sporchi, segno che aveva camminato tanto". Per il delitto fu arrestato e successivamente condannato (con l'ipotesi che avesse agito per motivi passionali) il marito della Locci, Stefano Mele. L'uomo, di professione manovale, arrivato in Toscana dalla Sardegna qualche anno prima, accusò prima i fratelli Vinci, poi confessò, indicando però punti di sparo incompatibili con la scena del crimine.
"Nel 1982, una lettera anonima indirizzata al giudice istruttore Mario Tricomi invitò a riconsiderare il caso alla luce dei nuovi omicidi seriali, e così anche quel duplice omicidio fu attribuito al serial killer che tutti conosciamo".
La pista del "Rosso del Mugello"
Per quattro degli otto duplici omicidi sono stati condannati - con l'ipotesi di concorso - i "compagni di merende" Mario Vanni e Gianfranco Lotti, amici di Pietro Pacciani, accusato di essere il Mostro, ma morto prima di arrivare a sentenza.
Personalmente sono convinto che i due, con i delitti che sconvolsero Firenze e dintorni, non c'entrino, e che, piuttosto, sia meritevole di attenzione la pista del "rosso del Mugello", un cacciatore - morto nel 2009 - che viveva appunto nella zona e che avrebbe avuto contatti con la Procura e lavorava a detta dei suoi familiari con Pier Luigi Vigna.
Di recente, da consulente della difesa di un parente di una delle vittime, mi son visto precludere - così come il legale ed altre CTP di una dei familiari di una vittima - la possibilità di accesso agli atti, ed il rigetto di nuova riapertura indagini da parte delle pm Ornella Galeotti e Beatrice Giunti.
In realtà, non ci hanno fatto fare alcun confronto genetico, essendoci un DNA da confrontare del nostro sospettato ne tanto meno l'accesso ai reperti per confronti testimoniali, antropometrici su foto sospettato-identikit, oltre che fonici e grafologici - lamenta comunque da ex consulente di parte - tante cose non tornano e lo dimostreremo. La verità non è ancora venuta a galla. L'ordinanza delle Pm e le motivazioni per cui l'istanza è stata rigettata è priva di documentazione allegata e quindi non si è affatto indagato a fondo per smentire questa ipotesi ricca di elementi indiziari che avevamo illustrato. Poi ci sono dei punti da chiarire e che sono del tutto inverosimile con i fatti accaduti e le normative vigenti.
Vedi la vendita all'asta di un'arma rubata che doveva, per legge tornare al proprietario o a presunti verbali di riconoscimento, citati ma o forniti alla difesa che sono stati smentiti dai diretti interessati. Per finire: la pistola. Siamo sicuri che l'arma venduta all'asta nel 1972 è la stessa del furto dell 'armeria di Borgo San Lorenzo?
Io non ci metterei la mano sul fuoco... Abbiamo un attuale proprietario, perché la procura non accerta direttamente se si tratta dello stesso modello long riffle. Oppure èuna short riffle? Non mi par proprio che siano state condotte indagini così capillari che smentiscono questa pista.


