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La nuova giunta Giani: più Nazareno che Toscana. Poltrone, fedelissimi e carneadi alla corte del presidentissimo

Ecco chi sono gli assessori prescelti (da Roma?)

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Eugenio Giani Eugenio Giani © facebook
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All’indomani della presentazione della nuova giunta regionale di Eugenio Giani, le perplessità sono tante.
Una squadra che, secondo voci di corridoio, sarebbe stata ritoccata all’ultimo minuto, lasciando dietro di sé più di un politico toscano irritato.
Non è solo il solito gioco di equilibri tra chi entra e chi esce o tra quote di genere: dietro c’è molto di più. Malumori, mal di pance e compromessi.
Insomma, accontentare tutti per scontentare tutti.

Del resto il buon Eugenio “genio” Giani, per strappare la ricandidatura al partito nazionale - notoriamente contrario al bis - ha dovuto cedere molto: non solo su un programma di mandato annacquato nei buoni propositi, ma privo di quella concretezza di cui la Toscana ha disperatamente bisogno.

La seconda giunta Giani appare come un puzzle costruito al Nazareno, più che a Palazzo Strozzi Sacrati, per tenere insieme ciò che resta del Pd e del suo poco omogeneo “campo largo”, rivelatosi in Toscana del tutto ininfluente.
Nelle scelte dei nomi, nei silenzi e sguardi degli esclusi si legge la tensione: una squadra più “romana” che toscana.

E non ci sarebbe nulla di scandaloso nel dosare con equilibrio deleghe e competenze, se non fosse che quando la politica locale smette di essere autonoma e diventa solo ricatto o riflesso di strategie centrali, c’è poco da stare sereni.
Il rischio è chiaro: una Toscana ridotta a banco di prova per le convenienze romane in vista delle politiche del 2027.
La credibilità della nuova giunta, già ai minimi termini sulla carta, si giocherà tutta su un punto: saprà essere governo del territorio o resterà una succursale del partito?

La composizione è influenzata non solo dai conflitti interni al Pd, ma anche dalla frammentazione di sigle che, pur portando alle urne manciate di voti, si sono poi messe in fila per riscuotere ill pegno promesso.
Il risultato riflette la strategia nazionale di Elly Schlein fin’oggi rivelatasi miope, dove dietro le nomine emerge la regia del Nazareno, del segretario regionale Emiliano Fossi e dall’onnipresente Marco Furfaro.
Un’appendice toscana della segretaria armocromista alla faccia degli elettori e delle preferenze espresse nell’urna.

“Non peseranno solo le preferenze, ma anche merito e competenza”, aveva dichiarato Giani alla vigilia. Una frase che, letta oggi, suona come un elegante modo per dire che le urne contano meno delle correnti e dei dictat romani.

Il buon Eugenio, intramontabile uomo di mille stagioni e giacchette rigirate sul cui regno non tramonta mai il sole dal Cinquale Capalbio ha scelto la via della sopravvivenza politica: più che l’amore per la Toscana, questa volta ha potuto il poltronismo.

Le tensioni con la segreteria regionale — che da Roma ha imposto nomi di carneadi e matricole sconosciuti ai più per piazzarli persino nei settori più delicati, come la sanità già sotto la lente della Corte dei Conti — lo dimostrano.
Il risultato è una giunta ibrida, fatta di uomini e donne per la metà non passati dal voto, dove la linea regionale si confonde con quella nazionale, e dove restano esclusi molti consiglieri eletti con risultati personali significativi.

Un chiaro segnale di commissariamento politico: la rappresentanza territoriale sacrificata in nome di fragili equilibri interni.
Una giunta che rischia di diventare solo un laboratorio del Pd nazionale, utile per testare la coabitazione tra le diverse anime della sinistra, ma lontana dai bisogni reali della Toscana che avrebbe invece bisogno di una scossa forte..

In nome della sua “sempiternità”, Giani ha sacrificato sull’altare del Nazareno ogni residuo di autonomia, circondandosi però di alcuni fedelissimi ai quali ha persino inventato ruoli nuovi di zecca.
Ma allora, chi risponderà davvero ai cittadini? Il presidente o la segreteria nazionale?
E chi si assumerà la responsabilità se le scelte imposte da Roma si riveleranno un flop in Toscana?

Giani lo ha ripetuto: “Non peseranno solo le preferenze, ma anche merito e competenza”.
Bene: ci spieghi allora che ruolo avrà il nuovo sottosegretario regionale introdotto nella riforma.
E che garanzie offrono i carneadi calati dall’alto, scelti non dal voto ma dai tavoli del partito?
I favoritismi e le nomine di apparato che hanno irritato i “trombati” mangeranno il panettone oppure lasceranno solo l’immagine di una politica chiusa e autoreferenziale, lontana dai cittadini?

La logica di spartizione che ha partorito questa giunta è l’emblema di una partitocrazia senza respiro.
E rischia di allontanare ancora di più gli elettori toscani dalle urne, proprio mentre la Toscana avrebbe bisogno di una politica capace di ascoltare, non di occupare.

Vediamo i prescelti quali sono anche se le deleghe verranno definite nei prossimi giorni.

Mia Diop Bintou (vicepresidente)
La carneade piovuta direttamente dal Nazareno per gentile concessione di Elly Schlein .
Ha solo 23 anni è nata a Livorno,da famiglia di origini senegalese.
Studentessa universitaria in Scienze Politiche a Pisa è consigliera comunale del Pd a Livorno, vicepresidente della commissione urbanistica in comune nonché membro del direttivo nazionale del  Pd grazie alla tessera di arcigay in tasca e un’amicizia personale con la segretaria vantata per averla affiancata nella sua campagna elettorale in Toscana.
Un record! Una studentessa di 23 anni sulla poltrona di vicepresidente della Toscana, ruolo oltreché ben retribuito di grande responsabilità per una che ha solo sedici mesi di esperienza in comune.
Una figurina panini solo simbolica da pilotare in nome di un presunto rinnovamento partitico. La generazione Z del Pd, una falsa Mamdani cacciuccata che in concreto non avrà nessun ruolo  nell’azione amministrativa, se non quello di eseguire gli ordini di Roma.

Filippo Boni
Nato a Montevarchi nel 1980 e laureato in scienze politiche è ex vicesindaco di Cavriglia e candidato eletto con un bottino personale di oltre 11.000 preferenze.
Scrittore e saggista con vari riconoscimenti regionali e nazionali rappresenta il profilo culturale/storico-letterario della giunta, ma a lui pare sia destinata la delega complessa alle infrastrutture e ai trasporti perché quella più logica alla cultura è blindata.
Forse troppo per un ex vicesindaco di provincia che rappresentando il Pd di area aretina deve rispondere a logiche partitiche precise.

Cristina Manetti
44enne fiorentina di nascita ma pratese d'adozione, giornalista professionista ed ex redattrice del fu Giornale della Toscana con una laurea in Giurisprudenza in tasca è la fedelissima per eccellenza dell’eterno Eugenio.
Con un curriculum politico frutto delle buone amicizie - ex capo di gabinetto del presidente dal 2020, prima donna in quel ruolo e attiva nella promozione culturale e in iniziative sulla parità di genere nonché presidente del Museo Casa di Dante -dopo aver provato senza risultati a diventare assessore nella giunta Funaro di Palazzo Vecchio dove non l’hanno voluta perché residente a Prato salvo poi scegliere un assessore residente a Pisa... questa volta riesce a realizzare il suo sogno e il suo mentore le affiderà la delega alla cultura nonostante la recente figuraccia del ritiro della patente per guida in corsia d’emergenza fingendo peraltro un malore che a qualsiasi altro sarebbe costato il posto.

Alessandra Nardini
Nata il 31 gennaio 1988 e residente a Santo Pietro Belvedere (piccolo borgo di Capannoli, Pisa) con una maturità scientifica in tasca e l’iscrizione alla facoltà di medicina e chirurgia all’università di Pisa e un impegno fin da giovanissima nel partito rappresenta la componente orlandiana del Pd ricordandoci che l’ex Ministro della giustizia Andrea Orlando ancora esiste.
Già consigliera comunale ed eletta con una valanga di voti nel 2015 è una dei (pochi) assessori uscenti confermati forte di una seconda valanga di preferenze che sono come numero seconde in tutta la regione.
La recente polemica per il suo non essere capolista nella lista pisana è segnale di tensioni territoriali il che la indebolisce così come la corrente partitica da cui proviene.

Monia Monni
Campigiana di nascita, di formazione e crescita politica dove ha anche ricoperto ruoli importanti nella giunta di Campi Bisenzio come assessore all’ambiente e ai lavori pubblici nell’epoca dell’esplosione della cementificazione e dell’antropizzazione della Piana prima che la stessa sprofondasse sott’acqua è stata la prima eletta nelle liste del Pd nel collegio Firenze 4 con un buon tesoretto di voti e anche in virtù di questo risultato personale e della sua appartenenza all’aria scheleriana del partito è guadagnata la riconferma dopo un quinquennio alla protezione civile senza infamia e senza lode.
Dovrebbe aggiunge alla protezione civile anche le deleghe ad ambiente, economia circolare, difesa del suolo e lavori pubblici.
Un portafoglio molto “pesante” e che fa tremare i polsi. se si guarda al suo passato. Una scelta calata dall'alto come fumo negli occhi fatta più di ideologie e buoni propositi che di sostanza.

Leonardo Marras
Riconferma anche per il 52enne grossetano, enfant prodige della politica maremmana dato che divenne sindaco di Roccastrada a soli 26 anni.
Già presidente della provincia di Grosseto (2009-2014) e membro del Consiglio d’Europa (Congresso dei Poteri Locali e Regionali), prima di essere eletto consigliere regionale nel 2015 dove fece subito il salto al ruolo di assessore ai trasporti.
Questa volta al fumoso Leonardo toccherè probabilmente l’economia, le attività produttive, le politiche del credito e il turismo.
Con queste deleghe per lui una responsabilità enorme in un contesto regionale che deve rilanciare investimenti, innovazione e turismo sostenibile.
L’esperienza territoriale è forte, ma il salto al livello regionale richiede una visione ampia e non solo locale. Saprà pensare in toscanao e non solo in maremmano?
Le sfide dell’overtourism, dell’impatto ambientale e dello sviluppo diffuso sono sulla sua scrivania come sfide di difficile gestione.
Nei primi cinque anni non ha convinto, si attende la svolta.


Alberto Lenzi
Sindaco di Fauglia, ingegnere e tecnico ambientale di professione è il profilo giusto per rappresentare Avs a cui si è avvicinato dopo un percorso civico di centro sinistra.
E’ lui che si dovrà occupare quasi sicuramente di ambiente, energia e transizione ecologica, anche se le deleghe ufficiali sono ancora in definizione.
Difficile sarà gestire il doppio incarico tra amministrazione locale e regionale e questo solleva dubbi sulla piena disponibilità e sulla gestione dei conflitti d’interesse territoriali.
Pesa anche lo scarso radicamento nel partito e nessuna esperienza precedente in ruoli regionali o di area vasta.
Il suo ingresso in giunta sembra quindi rispondere più a un’esigenza di equilibrio di coalizione che a un disegno programmatico solido anche se temi strategici come energia e transizione ecologica in una regione con forti tensioni su inceneritori, rinnovabili e tutela idrogeologica non possono essere solo una “foglia di fico” ambientalista.

David Barontini
Un altro pisano per una giunta a chiara trazione salmastra che rappresenta il terzo incomodo fra i due litiganti in chiave Cinque Stelle (Galletti – Rossi Romanelli).
Laureato in scienze politiche all’università di Pisa, lavora nel campo della comunicazione e della gestione di progetti sociali. Figura emergente dei pentastellati toscani è stato segnalato direttamente da Giuseppe Conte.
Una nomina che appare più politica che meritocratica per un movimento in caduta libera che fa chiedere a molti anche quale senso abbia un assessorato in quota M5S...
Per Conte l'avvocato del popolo l’alleanza toscana con Giani, più che un accordo programmatico, sembra una mossa di sopravvivenza politica; resta da vedere se Barontini avrà autonomia o se sarà  solo "osservatore silente” nella giunta.

 

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