Russia - Stati uniti © N. c.
È un film già visto e rivisto per l’ennesima volta quello che sta accadendo tra Russia e Occidente negli ultimi giorni, o meglio, tra Russia e Stati Uniti. Questo perché la diplomazia che si muove per mettere fine al conflitto in Ucraina avviene principalmente tra i due storici nemici protagonisti della Guerra Fredda, le due superpotenze che hanno tenuto il mondo con il fiato sospeso per decenni e che adesso tornano a scontrarsi, per adesso – e speriamo per sempre – soltanto a parole.
Il 24 febbraio 2022 la Federazione Russa invase l’Ucraina in seguito agli scontri scaturiti dopo che Putin, il presidente russo, qualche giorno prima riconobbe ufficialmente le Repubbliche separatiste popolari di Donetsk e di Lugansk, facenti parte del Donbass – regione orientale ucraina dove dal 2014 si combatteva un acceso conflitto tra il governo di Kiev e le forze separatiste filorusse. L’esercito non trovò particolari resistenze e arrivò fino alle porte della capitale, ma venne respinto dalla resistenza ucraina, e quella che doveva essere una guerra lampo si è trasformata in una guerra di logoramento.
Ad oggi la situazione è drammatica: il Donbass, occupato per la maggior parte dalla Russia, è lacerato dagli scontri. In più, non è all’orizzonte una soluzione diplomatica e Mosca continua a bombardare l’Ucraina. Come se tutto questo non fosse già abbastanza drammatico, Putin ha deciso di alzare la posta in gioco, invadendo con bombardieri e droni i cieli dei paesi facenti parte della NATO – come accaduto la scorsa settimana su cinque aeroporti danesi (sorvolati da droni) e sui cieli dell’Alaska, invasi da quattro jet intercettati dai caccia statunitensi.
Mosca ha dichiarato che se i suoi bombardieri verranno abbattuti sarà guerra. A questo punto sorge spontanea la domanda: ma come, con Trump alla Casa Bianca non doveva risolversi il conflitto in un batter d’occhio? Sono state queste le sue parole per tutta la campagna elettorale delle ultime presidenziali, che lo hanno visto trionfare per la seconda volta, diventando il 47° presidente degli Stati Uniti d’America. “Farò terminare la guerra tra Russia e Ucraina in ventiquattr’ore”, dichiarava con spavalderia, come se il suo predecessore, il presidente Biden, fosse un totale incapace.
La verità è che Trump si sta comportando come a suo tempo Biden, e il motivo è semplice: non può fare altrimenti, a meno di non rinnegare un principio cardine della civiltà occidentale e del diritto internazionale, ovvero l’inviolabilità dell’integrità territoriale, lasciando che Putin occupi l’Ucraina senza che l’Occidente muova un dito. Ciò farebbe precipitare il già fragile equilibrio mondiale in un buco nero dove a chiunque potrebbe venire in mente di accaparrarsi territori altrui senza subire ritorsioni – anche se, come vediamo nel Vicino Oriente, Israele sottrae da decenni le terre dei palestinesi.
Come è sempre accaduto, un conto sono le promesse in campagna elettorale, e un altro è mantenerle. Oltretutto Trump si mostrerebbe debole agli occhi del mondo.
Fin dall’inizio dell’invasione Biden si è schierato a fianco dell’Ucraina, consegnando armamenti, sistemi di difesa e artiglieria per centinaia di milioni di dollari. Prima di lasciare la carica, ha firmato un provvedimento da 2,5 miliardi di aiuti. Trump criticò aspramente la cessione di armi a Kiev, eppure l’esercito ucraino viene ancora oggi rifornito proprio dagli USA, anche se, a differenza di quando c’era Biden, i costi sono a carico della NATO al 100%.
Insomma, non è cambiato nulla, tranne il fatto che Trump ha trovato il modo di monetizzare vendendo, e non consegnando a fondo perduto, gli armamenti; una beffa clamorosa a fronte di una guerra che aveva promesso di far finire e che, contro ogni aspettativa, continua a mietere vittime mentre l’America si arricchisce. Per parafrasare, con Biden il sangue versato non valeva niente, con Trump è oro.
Sulla questione sanzioni, Trump non ne ha imposte di nuove, ma minaccia di farlo. Il 15 settembre scorso ha dichiarato che non sono abbastanza dure, e che i paesi NATO devono smettere di comprare petrolio dalla Russia.
Arrivati a questo punto possiamo affermare che ciò che è cambiato rispetto all’amministrazione passata sono gli orpelli della politica, ossia i tappeti rossi, le strette di mano, i sorrisi e le promesse che però non portano a nulla senza una reale volontà di cambiamento e di apertura a compromessi.
Trump e Putin si sono incontrati a metà agosto ad Anchorage, in Alaska, in un faccia a faccia che è servito soltanto a riabilitare l’immagine dell’ex agente del KGB su cui pende un mandato di arresto dalla Corte Penale Internazionale. L’incontro si è infatti concluso con un nulla di fatto, e Trump si è detto stanco e deluso dagli ultimi avvenimenti. L’incontro è durato circa tre ore, e se entrambi hanno convenuto essere un primo passo verso la pace, Putin sostiene che un cessate il fuoco è ancora lontano.
I fatti lo dimostrano: l’Ucraina è ogni giorno, o quasi, dilaniata dai bombardamenti. D’altronde con Putin la pace sembra sempre vicina, ma la verità è che vuole solo prendere tempo poiché convinto di vincere sul campo di battaglia.
Cosa si aspettava Trump? Che Putin avrebbe accettato di rinunciare ai territori conquistati in Ucraina? Il nodo da sciogliere in fondo è sempre stato questo. Zelensky, il presidente ucraino, ha sempre ribadito che rifiuterà ogni piano di pace che non preveda l’integrità territoriale del paese, Crimea compresa. D’altra parte Putin, dopo una guerra di quasi quattro anni con migliaia di soldati caduti e investimenti onerosi, considera suoi quei territori.
Forse Trump, da bravo imprenditore abituato a intendere le persone come compratori e venditori, sperava di ammaliare Putin, muovendolo come una pedina. Ma politica non è sinonimo di affari, e Putin non è il tipo da farsi comprare con onori e complimenti, e nemmeno il tipo che si mette paura del più forte, in questo caso Trump, presidente di un paese che è enormemente più ricco della Russia e con una spesa militare quattro volte superiore.
Come finirà il conflitto è un’incognita, ma abbiamo una sola certezza: i negoziati senza il diretto coinvolgimento dell’Ucraina sono carta straccia. L’Occidente si trova da quasi quattro anni davanti a due scelte: armare l’Ucraina sperando in una svolta positiva dell’esercito, o lasciare che Putin si prenda la parte est del paese. Fino ad ora, la strada percorsa è stata la prima, ma un negoziato dove ci siano rinunce da entrambe le parti sarà inevitabile, a meno di non arrivare a un conflitto più ampio.
Trump avrà imparato la lezione? Avrà riflettuto sul fatto che non è così semplice – come affermava quando al potere c’era Biden, contestato a più riprese – fermare una guerra così intricata? E i suoi elettori, che oltre all’Ucraina in fiamme assistono inermi alla distruzione della Striscia di Gaza da parte di Israele senza che il loro presidente sia riuscito a far nulla per fermare Netanyahu? Avranno capito che la politica è una questione complicata, e che va al di là degli slogan?
Putin provoca la NATO con incursioni via aria forse per testare la sua capacità difensiva, o per destabilizzare i suoi paesi. Qualunque sia il motivo, è il fatto che conta, e dovrebbe preoccuparci. L’Europa corre il pericolo di entrare in guerra con la Russia, la quale gode del supporto di Cina, Corea del Nord e Iran. Più tempo passa senza un negoziato concreto e accettato dai due nemici fraterni in conflitto – russi e ucraini fanno parte dello stesso popolo – più il pericolo aumenta.
Trump è lo specchio dell’uomo forte che crede di poter sottomettere chiunque al suo volere essendo ricco, influente e potente come non mai. Putin è invece lo specchio dell’uomo astuto, pronto a tutto pur di arrivare alla meta prefissata, che non si lascia intimidire da niente e nessuno. Entrambi dovranno posare lo scettro.


