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Il ruolo del padre. Oggi cosa è rimasto e come è cambiato?

Una riflessione di Alfredo Altieri

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Padre e figlio Padre e figlio © Pixabay
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Una giovane coppia stava tornando dai giardini: lui avanti col passeggino con una splendida bambina, lei, a cinque, sei metri di distanza “spippolava” tranquilla sul telefonino.

Non so dire il perché, ma questa scena familiare mi ha ricordato un fatto di quando ero bambino: In una calda sera d'estate e con la strada gremita di gente, due sposini camminavano tenendosi sottobraccio, con una bambina in collo alla mamma. Passarono davanti al bar del paese e gli avventori, uomini, iniziarono a motteggiare, finché, uno, più becero degli altri esclamò a voce alta: “La glià già messo la sottana in capo!” 

Un episodio che risale a molti anni fa, ma che mi ha fatto riflettere di come è cambiato il ruolo dell'uomo, ma soprattutto quello del padre. Certo è che questo “mestiere” nessuno te lo insegna. È un apprendistato continuo, dubbioso e difficile, costellato di molti errori e da  poche, giuste intuizioni.

Già il padre. Il fatto è che il suo ruolo oggi è molto diverso, così come è cambiato il modo di vivere, di pensare, il mondo, la famiglia, il senso del futuro, il valore del passato, il senso del peccato e quello del dovere.

La mamma ha più certezze, perché le vengono dalla sua carne. La donna “è madre”; l'uomo “fa” il padre. Una mamma è tale anche se non vuole: se partorisce, lo è. Un babbo deve accettare di esserlo e ciò comporta responsabilità, cura, dare tutela, il proprio lavoro, il proprio tempo e non vi è spinto dal sangue o dalla carne, dall'aver sentito crescere una persona dentro di sé; la paternità è un fatto di cuore e di  mente, non una faccenda di liquido seminale. È responsabilità.

La sapienza popolare efficacemente sintetizza: “Padre è chi dà pane”. Ed è altrettanto vero che la figura paterna nella sintesi cristiana è San Giuseppe, l'uomo buono che allevò un bambino non suo, trattandolo da figlio, anche se era il suo Dio. La donna ama suo figlio; l'uomo ama un bambino ed è indubbio che quella paterna è una forma d'amore altrettanto alta.

Nella divisione dei compiti genitoriali, la madre è l'amore; il padre l'autorità e la legge. Ma l'autorità del babbo un tempo derivava dal fatto che era lui a portare “il pane” e a conoscere le cose del mondo. Facile in una civiltà contadina. Ma adesso le relazioni interpersonali sono profondamente mutate e a ben vedere il ruolo del padre è diventato debole e confuso; le donne dimostrano il loro valore anche sul lavoro e spesso non possono fare a meno di procurare una parte del pane, se non tutto; le nuove tecnologie sono più a portata dei figli che dei padri. Dunque, l'autorità del padre e della conoscenza è ridotta  a poca cosa e i padri devono ripensare se stessi e a come essere ancora protagonisti per quanto concerne loro. Certamente non può bastare aver dato il 50 per cento del Dna ai figli: la differenza sta fra chi chiede e chi dà, fra chi è padre per la chimica e chi per vocazione.

Anche i sentimenti collettivi hanno subito molte trasformazioni e oggi è comunemente accettata l'idea che i padri, ma anche le madri cerchino altrove il modo di essere felici se la loro unione non funziona più; e questo loro preteso diritto spesso prevale su quello dei figli e a conservare la loro famiglia. 

È altrettanto vero, però, che una volta, certi matrimoni diventavano un inferno sia per l'uomo che per la donna che si detestavano ed erano condannati a sopportarsi per il diritto dei figli ad avere una famiglia. Perciò, non dico che era meglio prima, sono arcinote le tragedie di certe unioni forzate. Ma se è un nostro diritto cercare di essere felici, è altrettanto vero che i figli avrebbero il bisogno di poter contare sulla presenza di buoni genitori. Come si vede è un dilemma di non facile soluzione, che spesso “sconquassa” e addolora l'esistenza di più persone.

Mi accorgo di essermi addentrato in una serie di considerazioni dove la verità ha molteplici sfaccettature  e la giustezza dei comportamenti ha approcci diversi e personali, è come camminare sul filo del rasoio. Meglio finirla qui.

       Alfredo Altieri


 

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