Il momento dell’arresto di Fiesoli © Foto Germogli
La scomparsa di Rodolfo Fiesoli, l’83enne fondatore della comunità del Forteto, non chiude certo la ferita aperta nel cuore del Mugello e della Toscana intera. Se da un lato la morte del “Profeta” segna simbolicamente la fine di un'era, dall’altro non cancella né il dolore né le responsabilità.
«La morte di Fiesoli conclude la triste vicenda della setta del Forteto», commenta Paolo Bambagioni, già presidente della Commissione regionale d’inchiesta sul caso e oggi consigliere comunale a Firenze. «Nella sua malvagità – sottolinea – ha condizionato la vita di molti. Non ha mai voluto chiedere perdono alle vittime, negando fino all’ultimo le nefandezze commesse e tacendo sulle coperture di cui ha goduto per anni». Bambagioni rivendica però con forza il lavoro istituzionale portato avanti in Consiglio Regionale: «Rimane la soddisfazione di aver contribuito a rompere quel muro di silenzio, restituendo credibilità alle istituzioni e facendo emergere la verità».
Dichiarazioni a cui si aggiunge quella di Elisa Montemagni, deputata della Lega e vicepresidente della Commissione parlamentare d’inchiesta. «La morte di Rodolfo Fiesoli non cancella assolutamente la triste storia vissuta da vittime innocenti della malvagità umana», afferma. «Una vicenda dai mille aspetti, alcuni ancora oscuri, che ha visto anche la pericolosa commistione con soggetti legati alle istituzioni». Montemagni ribadisce l’impegno della Commissione a «non spegnere i riflettori su una tragedia che si è consumata senza essere ostacolata per troppo tempo».
Con la morte del fondatore, e il recente passaggio di proprietà dell’azienda agricola legata al Forteto, si chiude una pagina giudiziaria, ma si apre una nuova stagione della memoria e della verità. L’obiettivo, condiviso da più fronti politici, è che nessuno dimentichi e che mai più possa ripetersi un simile orrore.


