Un taglio del verbale © Paolo Cochi
Da decenni si parla della “pista sarda” come se fosse un dogma incrollabile, e Salvatore Vinci viene ancora presentato come un sospettato di primo piano. Ma c’è un dettaglio che certi commentatori, certe produzioni televisive e certi “esperti” continuano inspiegabilmente a ignorare: Vinci aveva due alibi granitici, documentati e verificati, per i delitti di Vicchio (1984) e Scopeti (1985.
Non supposizioni: atti, verbali, pedinamenti, testimonianze.
Vicchio, 19 luglio 1984 – Gli atti parlano, qualcuno finge di non sentirli
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Quella sera Vinci era a casa sua, in via Cironi a Firenze.
Lo attestano:
• i verbali dei Carabinieri,
• la SIT di Antonietta D’Onofrio, resa subito dopo i fatti e ribadita identica nel 2020, trent’anni dopo — e davvero, quale interesse avrebbe la donna a mentire a trent’anni di distanza?,
• e il verbale del figlio, che conferma la presenza del padre in casa.
Nonostante ciò, la serie Netflix sul Mostro di Firenze – osannata come "basata sugli atti" – evita accuratamente di riportare questo punto.
Ignoranza? Superficialità? O forse la verità documentale fa meno audience delle teorie costruite a tavolino con la complicità di “esperti” improvvisati, blogger elevati a consulenti e studiosi che citano gli atti solo quando fa comodo?
Scopeti, 6–8 settembre 1985 – Il pedinamento che nessuno cita
Nel 1985 Vinci era pedinato dai Carabinieri.
E anche qui, i fatti sono semplici:
nei giorni 6, 7 e 8 settembre, i due militari incaricati attestano che Vinci rimase a casa fino alla mezzanotte.
Le sentenze indicano l’8 settembre come data più probabile del delitto.
Ma il medico legale Mauro Maurri lo scrive nero su bianco: il duplice omicidio avvenne “abbondantemente prima della mezzanotte”.
Traduzione: Vinci non poteva essere a Scopeti, punto.
Il mostro colpiva sempre entro le 23–23:30
In tutti gli omicidi della serie, l’assassino agisce prima delle 23–23:30.
Ulteriore conferma che gli orari di Vinci sono incompatibili con i delitti del 1984 e del 1985.
Ma, anche qui, questo dettaglio scomodo viene regolarmente messo da parte quando non rientra nella narrazione precostituita.
Le testimonianze che nessuno vuole ascoltare
Restano cristallini:
• i verbali di D’Onofrio, sotto riportati in copia originale.
• quelli del figlio,
• e l’audio dell’intervista della donna, riascoltata a Prato dopo 35 anni, che conferma nuovamente tutto: https://www.youtube.com/watch?v=do7ZohtjKIw
Eppure, per alcuni, questi atti sembrano invisibili.
Molto più comodo continuare a cavalcare la “pista sarda”, a prescindere da ciò che dicono i documenti.
Tutto questo materiale esiste, è agli atti, è stato acquisito. Ma nella serie Netflix — osannata come “fedelissima ai documenti” — queste informazioni spariscono.
Scompare l’alibi. Scompaiono i verbali. Scompare la testimonianza ripetuta dopo 30 anni.
Curioso, vero? Soprattutto se nel frattempo si dà spazio a blogger e consulenti improvvisati che si fregiano del titolo di “esperti”.
Articolo a cura di Paolo Cochi


