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Ambiente: rassegnazione e resilienza dell' Italia dentro il fango

Si affida i destini d'intere comunità al neologismo "resilienza". La visione del nostro direttore Nadia Fondelli.

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alluvione a Campi alluvione a Campi © nn
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All'indomani del secondo grave evento di dissesto idrogeologico e idraulico della nostra Toscana nel solo anno 2023 (che non dimentichiamo ha investito anche la costa fra Livorno, Pisa e Lucca con imponenti mareggiate) vogliamo tornare ad affrontare un argomento serio troppo spesso banalizzato nei salotti: ambiente.

Non parlerò di cambiamenti climatici, questo lo avete già capito leggendo i pezzi precedenti sul tema, perché non m'interessa di essere nei top trend dei social ma di fornire al lettore argomenti su cui riflettere sul tema.

Per farlo ho rispolverato un mio articolo datato 2015 (ma avrei potuto rispolverarne uno anche di molti anni prima) perché di ambientalismo (concreto) se ne dibatte nei luoghi preposti da moltissimi anni ma, purtroppo, a rileggermi ho solo la conferma che "si parla bene e si razzola male".

Scrissi questo articolo all'indomani di un convegno di protezione civile in cui parlava molto della parola resilienza.
Poi coi disastri naturali a cui l'uomo nonostante la sua saccenza non ha saputo porre freno ho campito l'importanza di spiegare il significato di quella parola....

"Resilienza" anche se non ha il fascino del celebre “petaloso” si può considerare un neologismo ed è così stato riconosciuto anche dall'Accademia della Crusca.
“Resilienza” significa “capacità degli oggetti di resistere a un urto” ma se l'aggettivo è applicato agli esseri umani significa "la loro capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici come i disastri naturali o gli atti di terrorismo."

Psicologi, sociologi, medici e amministratori si alternarono all’oratoria in quel convegno per parlare di come “Accrescere la resilienza nella popolazione”.

Fra gli interventi mi colpì quello del sindaco di Montelupo Fiorentino Paolo Masetti, non a caso responsabile di protezione civile per l’Anci nazionale e già dirigente di protezione civile in città metropolitana.
Masetti colse l’occasione per lanciare un grido d’allarme e togliersi dalle scarpe alcuni sassolini. Nemmeno tanto piccoli.... Era  il 2015 e quei sassolini non hanno colpito nessuno!

Riprendo i suoi numeri nella loro precisione e semplicità aggiornando solo, ahimè la triste contabilità all'oggi.
A  leggerli ciò che emerge sulla nostra fragile Italia è chiarissimo.
Dal 1945 al 2023 in Italia per disastri naturali ci sono state 5542 vittime in 2465 comuni, 101 province (su 107) e in tutte le regioni italiane.
Se poi aggiungiamo che il 78% delle frane che colpiscono i 28 paesi della Comunità Europea sono in Italia, non abbiamo certo da che stare rilassati...

Resilienza come oppio dei popoli?

Già allora nel 2015, ma anche da molto prima si sapeva tutto: si sapeva che di disastri naturali si muore, ma si girava gli occhi dall'altra parte del problema parlando dell'importanza di formare disaster manager e una popolazione resiliente.
Intendiamoci, non che la figura non sia importante, anzi essa è sempre più fondamentale nel panorama odierno ma pensare che formare professionisti capaci di affrontare con una preparazione mirata situazioni d'emergenza sia determinante, così come lo sia insegnare alla popolazione ad essere "resilienti" voglia dire risolvere il problema dei disastri ambientali vuol dire non aver capito niente...o fingere di non averlo capito...
Specie se nel frattempo si continuava (e si continua) a costruire e impermealizzare il suolo come i numeri dei miei precedenti articoli ben dimostrano...


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