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1 dicembre: giornata mondiale contro l’AIDS nell’epoca del silenzio

Quando non parlarne diventa il rischio più grande

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Una giornata da ricordare sempre Una giornata da ricordare sempre © Depositphotos
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Il 1° dicembre, puntuale come un rito che a molti sembra appartenere a un’altra epoca, torna la Giornata mondiale per la lotta all’AIDS.
È un appuntamento che negli anni ’90 e 2000 riempiva le pagine dei giornali, i dibattiti dei talk show, gli spazi pubblici, le assemblee a scuole.
Oggi, mentre la pandemia da hiv non è affatto scomparsa, l’attenzione dell’opinione pubblica è scivolata altrove.
La verità, però, è semplice e scomoda: di Aids si continua ad ammalarsi, e il problema principale è che abbiamo smesso di parlarne.
 

HIV oggi: tra grandi progressi e fragili certezze
Oggi chi scopre di essere positivo all’Hiv non è più considerato né dalla medicina né dai luoghi comuni un condannato a morte.
Se seguito e curato ogni Hiv positivo può avere un’aspettativa di vita sovrapponibile a quella di chiunque altro.
Le terapie antiretrovirali sono diventate più semplici, meno invasive, capaci di rendere la quantità di virus nel sangue talmente bassa da essere non rilevabile e quindi non trasmissibile (il principio U=U).
Questi progressi, però, hanno contribuito a una paradossale illusione collettiva: che l’HIV sia un problema del passato.
Non lo è.

I numeri del contagio: l’Italia non è fuori pericolo
Vediamo un po’ i numeri che parlano più di mille parole.
Oggi nel mondo sono oltre 39 milioni le persone che vivono con Hiv.
Nel 2023 sono state registrate 1,3 milioni di nuove infezioni e 630.000 persone sono morte per cause correlate all’Aids.
In Italia ogni anno vengono registrate circa 2.000 – 2.500 nuove diagnosi. L’incidenza italiana resta tra le più alte dell’Europa occidentale e la fascia di età più colpita è 25–39 anni, seguita dai giovani 15–24.
L’85% delle nuove infezioni avviene per via sessuale e il dato più grave è che oltre il 55% delle diagnosi arriva in fase avanzata.
Questo significa una cosa sola: le persone non fanno test.
Per fare un breve raffronto negli anni del picco dell’epidemia (anni 89-90) in Italia le nuove diagnosi superavano le 4.000 all’anno; più di 50.000 sono le persone morte per Aids dal 1982 a oggi.

La prevenzione dimenticata
Negli anni in cui si pensava solo al Covid, ai cambiamenti climatici, alle crisi energetiche e alle guerre, l’educazione sessuale e affettiva è rimasta fuori dalle aule scolastiche e se entra entra solo per parlare del dramma dei femminicidi e la comunicazione pubblica sull’Hiv si è fatta sottile, quasi invisibile.
Scomparse le grandi campagne sociali, i messaggi chiari, i dibattiti e nemmeno i grandi gruppi televisivi nel giorno dedicato mettono  in onda il fiocco rosso a ricordare il dramma dell’Aids..

Nel frattempo, però cresce la disinformazione tra i giovani e i giovanissimi; la PrEP (profilassi pre-esposizione) strumento di prevenzione riconosciuto in tutto il mondo e fondamentale in Italia è ancora poco accessibile e assolutamente poco conosciuta; lo stigma sociale verso le persone sieropositive continua a essere forte anche sul lavoro e nei rapporti sociali e il risultato è un vuoto culturale che nessuna terapia può colmare.

Il silenzio che fa male: quando il tema sparisce dall’agenda pubblica
La sparizione dell’Hiv dal discorso pubblico è uno dei nodi più pericolosi. Paradossalmente, più la malattia è diventata gestibile, meno ne parliamo.
Nell’immaginario collettivo l’Aids appartiene alla storia: alle terribili campagne pubblicitarie degli anni’80 con gli aloni viola, alle morti dell’attore Rock Hudson, della rockstar Freddie Mercury ai film da Oscar degli anni ’90 come Philadelphia. Insomma, a un mondo che non c’è più.

Stigma e paura: il virus sociale che resiste più del virus biologico
Se la ricerca ha fatto passi da gigante, il cambiamento culturale procede molto più lentamente anche perché priva di ogni informazione.
Molte persone sieropositive, ancora oggi, evitano di rivelare il proprio status per timore di essere discriminate.
Lo stigma sociale mantiene vivo un clima di paura e isolamento che non ha alcun fondamento scientifico, ma continua a produrre sofferenza psicologica.
Per questo molti attivisti parlano di “doppia battaglia”: una medica e una culturale.

Un futuro possibile: informazione, accesso, consapevolezza
Per invertire la rotta non servono slogan spettacolari, ma azioni concrete coe facilitare l’accesso ai test rapidi; diffondere e regolamentare la PrEP; riportare l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole; investire in campagne di comunicazione pubblica rivolte ai giovanissimi, giovani e agli adulti; combattere lo stigma con informazione scientifica chiara.
Parlare di Hiv è bene sottolinearlo non significa tornare indietro negli anni: significa proteggere il presente.

Il 1° dicembre come promemoria
La Giornata mondiale contro l’Aids non è un anniversario museale. Non dovrebbe essere un ricordo, ma un allarme.
L’Hiv ha cambiato volto, ma non è scomparso. Il virus non corre più veloce delle terapie, ma continua a correre più veloce della nostra attenzione.
E allora, oggi più che mai, il messaggio centrale è uno solo:
non possiamo permetterci il lusso del silenzio.

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