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"I bambini del soldato martin" una storia che ha commosso il mondo

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Lo scorso Natale,  la fiaba del 97enne veterano americano Martin Adler, che dopo un appello raccolto sui social dallo scrittore e giornalista Matteo Incerti ha ritrovato i tre bambini fotografati sull’Appennino bolognese nell’ottobre 1944 ha commosso il Mondo con migliaia di articoli e servizi in tutte le lingue del Pianeta. Ora la sua storia, diventa un libro,  ‘I bambini del soldato Martin’ scritto da Matteo Incerti e pubblicato da corsiero editore, che uscirà il prossimo 17 giugno e per il quale sono già state programmate 22 presentazioni da qui ad agosto con altre in arrivo.

Martin Adler, soldato semplice della fanteria americana, figlio di un emigrato ungherese di religione ebraica, sta perlustrando un casolare. Vede muoversi qualcuno all’interno di una grande cesta di vimini. Lui e il suo commilitone sono pronti a premere il grilletto del loro mitra, quando all’improvviso l’urlo di una donna li ferma. Dal contenitore sbucano tre splendidi bambini. Adler sorride e chiede alla madre di scattare una fotografia per immortalare quell’istante in cui la vita ha vinto sulla morte.

Rimarrà il suo ricordo più bello della campagna d’Italia contro il nazifascismo. Dal primo all’ultimo giorno di guerra in Italia, Adler scattò fotografie e realizzò disegni da recapitare alla famiglia. Decine d’istantanee che ritraggono momenti goliardici dietro la linee, ragazze, bambini. Il suo antidoto per dimenticare incubi, tragedie, umiliazioni che stava vivendo al fronte tra morte, distruzione ed episodi di antisemitismo subiti nelle file dell’esercito chiamato a combatterlo.

Ritornato negli Stati Uniti, per tutta la vita Martin cercò di dimenticare quegli orrori aiutando il prossimo. Nel dicembre 2020, a novantasei anni, rinchiuso da mesi nella sua casa in Florida a causa dell’epidemia di Coronavirus, Martin Adler dice alla figlia Rachelle di aiutarlo a ritrovare quei tre bambini: decidono di lanciare un appello sui social network. Che fine hanno fatto? Sono ancora vivi?

Il giornalista italiano Matteo Incerti raccoglie la richiesta e la rilancia, facendo diventare virale questa storia in pochi giorni. Tutti vogliono ritrovare i bambini del soldato Martin. Come in una favola di Natale quei tre fanciulli del 1944, ormai diventati a loro volta nonni, si riconoscono nell’istantanea rilanciata dai media e abbracciano virtualmente Martin che ha un sogno: una volta vaccinato contro il Covid vuole ritornare in Italia. Il racconto, che dona speranza in un momento buio per l’umanità, fa il giro del mondo con decine di migliaia di articoli in tutte le lingue della Terra.

Il romanzo ricostruisce la storia di un soldato, la sua visione della guerra, la sua passione per la fotografia e la sua incrollabile fiducia che un sorriso, un tocco di umanità fosse possibile anche nel bel mezzo di un conflitto mondiale. Matteo Incerti ha raccolto la testimonianza di Martin, l’ha raccontata come fosse un romanzo, arricchendola con le fotografie e i disegni originali, conservati da Martin: ricordi indelebili che per settantasei anni sono rimasti nascosti nella sua anima. Una favola della vita, vissuta nell’eterno conflitto tra odio e amore, morte e vita, rassegnazione e speranza. Dal 1943 ai giorni nostri.

Matteo Incerti è nato a Reggio Emilia nel 1971. Giornalista, è addetto stampa del gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle al Senato della Repubblica. Ha collaborato con «il Fatto Quotidiano», Radio Bruno, «Il Resto del Carlino», Reggionelweb.it e «Il Gazzettino». Ha pubblicato i romanzi storici Il suonatore matto (2010), Il bracciale di sterline, con Valentina Ruozi (2011), Si accende il buio, con Johannes Lübeck (2012) e Il Paradiso dei folli (2014).

A seguire un estratto dal libro di Matteo Incerti, per gentile concessione:

La vendemmia Colline fiorentine, primi di settembre 1944 

Da metà luglio gli uomini del 339o reggimento erano stati spostati a nord di Volterra per poi proseguire verso la campagna della provincia fiorentina. Dopo la liberazione di Firenze, avvenuta a metà agosto a opera degli inglesi, i Custermen si assestarono sulla linea dell’Arno. Verso la fine del mese il reggimento venne di nuovo trasferito a sud-ovest del capoluogo per un periodo di riposo e addestramento. L’area era quella delle splendide colline tra Montespertoli e Certaldo. Gli uomini della Compagnia D avevano da poco consumato la colazione quando, riordinati i vettovagliamenti, vennero assegnati i compiti del giorno. Adler e gli altri commilitoni raggiunsero alcuni trinceramenti. Erano rifugi realizzati con sacchi, legna, bossoli riempiti di terra e tubi di cartone che altro non erano che imballaggi di munizioni. Nel caso, peraltro poco probabile, di bombardamento d’artiglieria da parte delle forze tedesche, queste trincee rappresentavano l’unica protezione. Adler e i suoi commilitoni amavano recarsi in quella postazione. Nelle vicinanze c’erano vigne in abbondanza e una casa colonica abitata da una famiglia di contadini. Ma soprattutto c’era una ragazza dai capelli castani a caschetto, un corpo esile e un sorriso capace di sciogliere un ghiacciaio. Ogni volta che i soldati passavano di fronte a quella abitazione, i loro occhi erano tutti per lei. Soprattutto quelli di Martin. «Abbiamo perso Adler…» scherzò Bronsky. Questa volta però ad attendere il passaggio della compagnia, sotto il portico non c’era solo lei. C’era anche la madre. Aveva i capelli castani raccolti e li salutò con entusiasmo. «Ciao, America! Oggi vi facciamo un bel regalo!» «Bronsky, che diavolo ha detto?» chiese Martin al commilitone della Pennsylvania. «Ho capito solo Ciao, America…» «Grazie, grazie! Vino, signora?» scherzò Adler utilizzando una  delle parole più conosciute del vocabolario tascabile in dotazione a ogni militare alleato o tedesco che fosse.

«Vino e pasta!» rispose la signora. «What’s pasta?» chiese ancora Adler al commilitone originario di Philadelphia.
«Guarda sul vocabolario invece di guardare la ragazza…»
«Al diavolo, ora ti faccio vedere io!» rispose Adler che si avvicinò alle due donne e iniziò a confabulare nel suo italiano impacciato.Poi ritornò nei ranghi.
«Che cosa hai capito?»
«Prima di tutto le piaccio da morire, secondo penso abbiano una sorpresa per noi, mangeremo bene» rispose scherzando. La compagnia proseguì verso le trincee della batteria, distanti meno di cinquanta metri dalla casa colonica. Quel giorno, di addestrarsi per fare la guerra, i soldati della Compagnia D proprio non ne volevano sapere. Scherzavano in continuazione, gettavano sguardi alle vigne lungo le colline. Lì, la guerra sembrava lontana,quasi impossibile.
«Quanto vino potremmo scolarci…» disse il caporale dello staff medico King, originario del Tennessee.
«Andiamo a prendere un po’ d’uva» rispose Adler, che anche quel giorno aveva la sua inseparabile macchina fotografica. Non fecero in tempo ad arrivare al primo filare che le loro mani erano già impegnate a staccare grappoli d’uva bianca. Sembravano bambini a cui avessero fatto il regalo più bello del mondo. Adler chiese a King di scattare una foto. Alzò il grappolo d’uva e se lo mise alla bocca.
«Ma se ci facessimo un po’ di vino?» domandò all’amico.
«Certo, cento botti, ma come pensi di produrlo?»
«Prendiamo l’uva e la pigiamo. Poi chiediamo a quei contadini un po’ di lievito. Lo mettiamo in qualche bottiglia a fermentare e ce le portiamo dietro, sarà pronto tra un po’. Custermen, vino da trincea, vendemmia 1944» scherzò Adler.
«Martin, tu sei matto, ma l’idea mi piace!»
Tornati alle loro posizioni, i due continuarono a prendersi gioco l’uno dell’altro. Se i tedeschi avessero attaccato, oggi sarebbe stato il giorno perfetto.
«Forza, fotografo! Riprendici, siamo così magri che ci stiamo in due…» disse un commilitone rivolgendosi a Martin. Il soldato del Bronx non si fece pregare due volte. Ogni scatto che immortalava un sorriso, per lui era uno squarcio di luce nel buio di quel conflitto.
«Americani! Martin!» All’improvviso un urlo femminile proveniente dalla casa catturò l’attenzione dei soldati.
Era di nuovo la ragazza dai capelli castani che li richiamava.
«Sentito? Ha chiamato me, le piaccio da morire…» si pavoneggiò Adler.
«Ha detto anche “americani” che è rivolto a tutti, non solo a te!» rispose Bronsky.
Il gruppo di soldati lasciò trincee e batteria e si incamminò verso la casa. Entrarono e assistettero a una scena mai vista prima.
Dietro una lunga tavolata di legno la ragazza e sua madre stendevano la pasta fresca. Da un mastello di legno colmo d’acqua la donna ogni tanto la inumidiva, mentre la figlia la tirava e poi la tagliava con cura. Tutto era pronto per sfornare i pici.
«Spaghetti!» esclamò Adler.
«No! Pici, pici!» rispose la donna scherzosa e con forte accento toscano.
«What’s the hell are pici? » chiese ai commilitoni sfogliando inutilmente la guida tascabile.
«Pi-ci, pi-ci, pi-ci! Mangiare pici, pici!»
Tutti iniziarono a scandire ridendo quella parola sconosciuta, avendo ben compreso che presto il loro stomaco vuoto ne avrebbe goduto il gusto genuino. Martin scattò l’ennesima istantanea a quel momento di festa e poi si rivolse nuovamente a Bronsky:
«Immortalami».
«Immagino con chi…» rispose l’amico.
Il soldato venuto dal Bronx si distese sulla tavola di legno, incurante della farina. Appoggiò i gomiti e volse il suo sguardo verso la giovane.
«Ragazza dagli occhi belli!»
Lei arrossì. Poi, ignorando lo sguardo severo della madre, lo baciò con affetto sulle guancia, scatenando l’ilarità dei presenti.
Il tempo di cucinare quella pasta fresca condita con sugo di pomodoro, sedersi tutti insieme intorno a una tavola, bevendo Sangiovese toscano bianco, ed ecco che quel manipolo di militari si sentì in paradiso.
La guerra, i morti, i feriti, la distruzione, l’odio sembrarono un ricordo lontano.
Eppure erano lì, oltre quelle colline.

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