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La mia "Livorno Half Marathon". Vado a correre e torno

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Ovvero quando tutto va come deve andare. Le gambe girano, la testa è sgombra da pensieri e non hai neanche un dolorino. Poi i fattori esterni, di cui abbiamo parlato anche nello scorso articolo QUI, sono gli ideali.

Mattinata di sole, temperatura tra i 12 e i 14 gradi, pochissimo vento: meglio di così non si può. Inoltre la Livorno Half Marathon è una gara che conosco, è già la terza volta che vi partecipo: la mia prima mezza maratona l’ho disputata proprio qui nel 2016, ed ho dei bellissimi ricordi. E guardate che conoscere il percorso della gara è una gran cosa: sai contro cosa vai incontro, ricordi dove potrai pestare sull’acceleratore, o qual’è la parte più lenta del tragitto, oppure se c’è o meno una salita (e c’è quasi sempre, anche a Livorno ovviamente) che ti farà bestemmiare anche in armeno antico. E infine Livorno. Io amo Livorno, specie in inverno, quando è ancora più vera, più autentica. Quando cioè respiri quell’atmosfera decadente, dark, della città di porto, pronta accoglierti e a sputarti via. Tutto perfetto quindi.

Eppure a onor del vero non è andato proprio tutto liscio. Infatti dopo neanche un chilometro mi accorgo che il gel (integratore energetico) che avrei dovuto prendere a metà gara, è rimasto al calduccio nello spogliatoio, cazzo. Voi direte, cosa sarà mai un gel?!
Invece vi garantisco che dal punto di vista psicologico, ancora più che fisico, può fare la differenza. Soprattutto perché viene meno tutto quel minuzioso schema mentale che ti eri fatto per ogni singolo passaggio della corsa. Quello schema, ormai collaudato, che ti dà serenità e sicurezza, e che se cambia, se viene a mancare anche una piccola tessera - come un misero gel appunto -, può tranquillamente far cadere tutto come il più classico dei castelli di carte. Ma domenica era la mia giornata: le gambe frullavano come Iddio comanda e i ventun chilometri della mezza maratona sono la distanza che preferisco, in una città che ho nel cuore,e non sarà di certo una cacatina di gel a rovinarmi la gara. Resilienza, ecco la parola da tirar fuori dal taschino durante una gara. Perché se si è resilienti ci si salva, sempre, in gara così come in molti altri frangenti della vita. Una scrollata di spalle e via.

Sto bene, mi godo la corsa, il passaggio dentro l’Accademia navale coi cadetti e i marinai ad attenderci e poi i lunghi viali, veloci, che riportano in centro, quindi alla metà della gara, dove arriviamo al ristoro e prendo al volo una merendina, che dovrà sostituire il gel. Continuo ad avere un bel passo, corro leggero, ogni tanto mangiucchio un pezzo della merendina - che per inciso era pure buona, con la crema di limone - guardo il cronometro, va bene, mantengo un bel passo e il cuore pompa in maniera regolare.

Ed eccoci di nuovo sul lungomare, la Darsena, ripenso ai tanti allenamenti fatti qua, questa estate alle 7 del mattino, mentre preparavo Berlino. Ci ripenso e sorrido. Siamo all’ultimo terzo del percorso, qui si decide la gara: faccio un briefing di un secondo mezzo con gambe e cervello e siamo tutti sulla stessa lunghezza d’onda: gas in fondo! Se resisto per un paio di chilometri a questo ritmo è fatta, che tanto mi conosco e gli ultimi li faccio in crescendo.

Andrà proprio così. Un passo dopo l’altro, un respiro dopo l’altro. Inizio ad avvertire la stanchezza, ma sento che le gambe reggono, la cosa mi dà fiducia. Mancano due chilometri e raggiungo un ragazzo con la maglia rossa. E’ stanco pure lui, me lo ripete più volte, “ ’N ce la fo più!” mi dice più volte. Lo incito, gli faccio coraggio, “E’ finita ormai, l’ultimo chilometro non conta, dai dai dai”. Entriamo insieme nello stadio, ultimi trecento metri, poi accelero e mi godo il giro di pista in solitudine, sorridendo. Finisco in allungo, col cuore in gola e a braccia larghe. Fermo il cronometro: 1h 38m e 18sec. 4 minuti meno del mio best time sulla mezza, fatto sei mesi fa.
Caccio un “SEEEEEEEEE!!”, manco avessi vinto la finale di Wimbledon.

Riprendo fiato, mi guardo un pò intorno e cerco il ristoro finale perché ho una fame da lupi. Ed ecco la nota dolente di questa corsa: il ristoro faceva pena; scarsa organizzazione e pochissime cose sia da bere che da mangiare, peccato. Aspetto il mio amico Claudio, che ha corso la sua prima mezza; quando lo vedo lo abbraccio, è raggiante. Poi una bella doccia calda e infine tutti a mangiare la meritata frittura in un ristorante del quartiere Venezia.

Baci e buone corse,
Enrico

P.S. quasi dimenticavo! La canzone di questa settimana per le nostre playlist da corsa è un brano dei R.E.M “Man on the moon”, che sprizza energia e positività da tutte le note.


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