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E' solo un gioco? Il calcio nella società italiana. Convegno a Firenze

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E' solo un gioco? Il calcio nella società italiana. Convegno a Firenze E' solo un gioco? Il calcio nella società italiana. Convegno a Firenze © n.c.
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Firenze – Il Prof Fabien Archambault alla Cesare Alfieri di Firenze per il convegno Prospettive Critiche: È soltanto un gioco? Il calcio nella società italiana, lo storico dell’Université de Limoges è uno dei massimi studiosi francesi ed europei di sport, specialista del caso italiano – essendosi formato in buona parte anche in Italia – si interessa di storia politica e sociale con una prospettiva sociologica, e con particolare riferimento allo sport. Il suo più conosciuto contributo, nonché tesi di dottorato, è Il controllo del pallone. Le associazioni calcistiche cattoliche nell’Italia del secondo dopoguerra (edizioni dell’École française de Rome, 2012) incentrato sul ruolo dei partiti politici nella composizione del panorama societario calcistico dal dopoguerra agli anni ’80, e nella conseguente strutturazione del tifo. Attualmente studia non solo il calcio ma anche la pallacanestro, oltre alle politiche sportive e alla violenza politica connessa alle sue manifestazioni. Al suo intervento Panorama della ricerca francese degli ultimi vent’anni in sociologia dello sport è seguita una tavola rotonda con gli altri relatori. Fra i primi studiosi dello sport in Italia, il Prof Stefano Pivano dell’Università di Urbino; la promotrice dell’iniziativa Isabelle Mallez Console Onorario di Francia, Pres. dell’Istituto Francese di Firenze; Filippo Russo, sociologo e studioso di calcio; il Prof Fulvio Conti, storico sociale; a moderare il Prof. Carlo Sorrentino, sociologo del giornalismo. Il tema principale è stato la sostanziale difficoltà degli studi sullo sport di acquisire legittimità e autorevolezza ai massimi livelli accademici in Italia e Francia – la storia dello sport si è legittimata dagli anni ’80, ha causa di una cultura sportiva diversa da quella anglosassone che considerano lo sport attività fondamentale nella formazione fin dal ‘800 – racconta il giovane professore francese. In Italia e Francia c’è una tradizione diversa da quella protestante e anglosassone, derivante dalla cultura cattolica e socialista che ha sempre guardato allo sport con distanza, diffidenza; la prima per la promiscuità del contatto fisico, la seconda perché riconducibile alla competitività del capitalismo, entrambe culture avverse alla promozione dell’individualismo che quest’ultimo sottende. Archambault nel presentare una carrellata degli ultimi studi sullo sport in Francia – senza alcuna pretesa di esaustività - come dice lui stesso, promuove comunque una prospettiva multi disciplinare come approccio a questo sottosviluppato campo di studio: sociologia del lavoro, antropologia, storia sociale, diritto e economia, STAPS (in Italia simili alle scienze motorie). Riporta il lavoro si molti studiosi tra i principali: Pierre Lanfranchì, professore di Storia Contemporanea alla De Montfort University di Leicester; Alain Corbain, storico delle sensibilità e del tempo libero; Pierre Arnoud, fra i primi ad occuparsi di ginnasti; Christian Bromberger, antropologo che ha scritto La partita di calcio; e molti altri ancora. Suddividendoli in tre particolari categorie generazionali: i “pionieri”, primi studiosi che vi si sono approcciati come Pivano; i “mascherati”, coloro che hanno studiato lo sport in modo “tangenziale” da altre discipline, in silenzio e al buio, “vergognandosi un po’per la frivolezza” dell’argomento; la terza generazione è quella più giovane e libera degli studiosi così detti “senza complessi” che hanno fatto liberamente “outing” – scherza Sorrentino – e che si occupano di sport in mezzo a molte difficoltà, ma con una sfrontata e rivendicata autorevolezza. La maggiore è archivistica, riguardando l’accessibilità delle fonti, infatti sono poche le società o le federazioni con archivi disponibili e ben organizzati. Tutti i relatori concordano nel dirsi pessimisti sul futuro della ricerca a causa dell’austerità che l’attanaglia, in particolare in questi campi di studio “minors”, e che per questo rintracciano ancor meno risorse degli altri, come racconta Pivano nel suo libro Al limite della docenza. Ma anche perché sarà sempre più difficile “essere eletti” in ambito accademico per i giovani studiosi. Il “pioniere” Piovano – come lo ha definito il collega francese – prende in prestito un aforisma dello storico Mark Bloch per esprimere la necessità di apertura della disciplina storica alle altre e su questi temi considerati più marginali – la storia non ammette l’autarchia. Piovano racconta dell’origine marittima del calcio in Italia, poi divenuto sport elitario, reso popolare dal fascismo e non “dall’oratorio” – con i primi due mondiali vinti del ’30 e ’34 – unico esempio linguistico al mondo di mancata conservazione della matrice originaria “football”, riformulata in termini nostrani con l’etimologia ricondotta al “calcio” fiorentino rinascimentale. Cita inoltre il medico Angelo Mosso – lo sport insegna la libera iniziativa, mentre la ginnastica l’esecuzione ordinata, ed Eric Hobsbawm – lo sport è la nuova religione delle classi popolari; chiude il proprio intervento con una duplice provocazione – l’aforisma di Pierre de Coubertin è la massima forma di ipocrisia nello sport, l’importante è solo e soltanto vincere (…) per una ritrovata credibilità dello sport il doping sarebbe davvero da legalizzare. L’ultimo relatore Filippo Russo parla del calcio italiano come “una monocultura sportiva” portando l’analisi su di un piano più politico e recente. Uno sport totalizzante lo scenario mediatico italiano, dallo strumentale rapporto col potere in ottenimento di altri fini. “Una parabola calcistica del potere” politico ed economico che parte dal capitalismo territoriale, passando dal berlusconismo milanista, per arrivare alle globalizzanti proprietà straniere – cambio e sviluppo di una cultura “dalla marcatura a uomo a quella a zona” – metafora ripresa dalla rivoluzionaria esperienza sportiva di Arrigo Sacchi al grande Milan degli olandesi. Un po’ in disaccordo con gli altri relatori, il sociologo ritiene che – il mondo del calcio abbia una propria politicità, piena autonomia e quasi una piena capacità di alienazione. Molti sono gli spunti ancora da indagare per questo “prisma riflettente la società” che è lo sport – come ha lo ha definito Pivano – alcuni misteri ancora da chiarire; perché ad esempio il calcio sia così visceralmente popolare nel mondo? Forse lo è più di altri per la sua fisica semplicità, poche regole con uno strumento essenziale  

 

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