x
OK!Mugello

Viva il tu: manuale di sopravvivenza al politico confidenziale

Un tempo era ‘Vossignoria’, poi il solenne ‘Lei’, oggi il politico ti dà del ‘tu’ come se foste amici al bar.

  • 178
Occhio al tu dei politici Occhio al tu dei politici © depositphotos
Font +:
Stampa Commenta

In Italia c’è un virus che non passa mai di moda. Non è una nuova ondata di covid né la classica influenza stagionale, ma una malattia tutta linguistica: la smania dei politici di dare del tu.
Non c’è incontro pubblico, dibattito televisivo, comizio, intervista o conferenza stampa in cui un rappresentante delle istituzioni o un candidato non decida di abbattere con arroganza la barriera del lei.
“Senti, caro/a…”, intimano al giornalista che magari li incalza con domande scomode sfoderando il loro migliore sorriso di circostanza. Beh, la confidenza o presunta tale gli permette poi dire “ma che domande mi fai….”
“Dai, non ci davamo del tu!?”, sorridono al rappresentante di un gruppo di cittadini o a un cittadino stesso che osa, dandogli rigorosamente del lei in segno di rispetto, chiedere perché la sua città sia così degradata, insicura, etc…
Ma certo, loro sono in confidenza anche coi cittadini e quindi anche loro come si permettono di dire “scusi, forse c’è qualcosa che non va”...


Il falso mito della vicinanza
Ma chiariamo un punto: non è confidenza, non è calore umano.
È una sottile strategia comunicativa della politica, peraltro vecchia come le prime tribune politiche in diretta televisive.
Il tu usato come forma di sedativo sociale. Il volersi dimostrare vicino, amico, confidente. È la carezza che ti fa dimenticare lo schiaffo, la pacca sulla spalla che nasconde il coltello dietro la schiena.
Il lei è faticoso e complesso. Forse oserei dire fin troppo educato per certe mezze tacchette della politica odierna.
Richiede linguaggio adeguato, distanza, formalità e rispetto reciproco.
Costringe il politico a guardarti come interlocutore con pari dignità. Il tu, spesso unilaterale invece, è molto più comodo: appiattisce le gerarchie, ma solo in apparenza.
Con il tu vogliono farti sentire davanti a tutto l’uditorio parte di una ristretta cerchia di “amici”, spesso compiacenti mentre in realtà per loro sei confinato solo nel ruolo del suddito che deve essere riconoscente a prescindere e non de ve osare dire o chiedere.


La trappola del linguaggio
Il tu dei politici è un’arma se usata bene anche a doppio taglio.
Da una parte la usano per simulare apertura, vicinanza e disponibilità; dall’altra funziona come anestetico: addormenta la critica, smussa le asperità, ti fa sentire quasi in colpa se osi alzare la voce con “l’amico” che ti sta parlando.
“Ehi, ma io ti ho dato del tu, perché mi attacchi così?” – questo il sotto testo che nessuno dice, ma che pesa come un macigno.


Quando il “tu” diventa paternalismo
E qui sta l’inganno.
L’italiano come dicono dalla prestigiosa Accademia della Crusca è una lingua viva, vivace e in movimento.
Tante parole che prima ci sembravano quotidiane oggi sono obsolete se non arcaiche e quanto all’uso del tu e del voi come forma di rispetto addirittura i più anziani ricordano come si dava anche del voi.
Oggi invece il tu, un po’ all’anglosassone è sdoganato anche troppo.


Escursus storico
L’uso del tu, del lei e del voi in italiano quindi non è solo una questione linguistica, ma anche culturale e sociale: riflette rapporti di potere, rispetto e distanza.
Un tempo c’era il latino, con il suo severo tu e il suo plurale vos. Poi arrivarono i signori feudali e, per non fargli venire la gastrite, si cominciò a chiamarli col voi: così, giusto per ricordargli che valevano più di una persona sola.
Una sorta di “account premium” linguistico.
Con l’Umanesimo e il Rinascimento, i nobili vollero alzare ancora l’asticella: il voi cominciava a sembrare un po’ poco. E così nacque il lei, derivato da “la Signoria Vostra”, abbreviato in “Ella” e poi, con l’eleganza di chi fa lo sconto al bar, diventato “Lei”.
Da allora, il lei divenne il passepartout dell’educazione borghese.
Il lei si impose: serio, rispettoso, educato.
Perfetto per una società che amava il decoro e non si sarebbe mai sognata di dire “Ciao Marchese, dammi un cinque!”.
Poi arrivò il fascismo, che decise che il lei era troppo spagnoleggiante e servile.
Quindi, decreto alla mano, tutti a usare il voi. Una rivoluzione linguistica durata meno della camicia nera dopo il 25 luglio.
E oggi? Altro che rispetto, altro che eleganza.
I politici, anche quando parlano da uno scranno, ti danno del tu. Non perché ti siano amici, ma perché il “tu” fa populista, fa confidenza, fa “io sono uno di voi” (anche se guadagnano venti volte tanto).
Così il cittadino diventa “compagno di spritz” invece che interlocutore da rispettare.
Il risultato? Una lingua sempre più “confidenziale”, in cui chi governa sembra il vicino di ombrellone, ma in realtà ti tratta con la stessa distanza con cui risponderebbe al cameriere: con un sorriso e un “dai, su, chiamami pure per nome”.
In pratica: dal vos latino al tu social, la strada è stata lunga. Il rispetto, invece, quello sì, si è perso per strada.
Quello dei politici però non è il tu tra pari, ma il tu paternalistico, condiscendente.
È il tu del professore che ti corregge il compito con il sorriso beffardo, del capo che dice “siamo una famiglia” mentre ti allunga il contratto a tempo determinato.
È il tu che ti controlla, che ti addomestica, che ti ricorda costantemente chi ha in mano il potere.

Confidenze usa e getta
La cosa più grottesca, poi, è la rapidità con cui questo “tu” evapora. Passata la campagna elettorale o spenta la telecamera, il cittadino ritorna invisibile.
Il tu si trasforma in pratica nel più impersonale dei voi: voi elettori, voi contribuenti, voi massa indistinta da gestire.
Il tu dei politici non è la mano tesa, ma la catena invisibile.
È il nuovo gadget linguistico, l’equivalente di una maglietta con lo slogan accattivante: si indossa, si mostra e poi si butta.
Dare del tu non è un segno di amicizia, ma di potere.
Perché la verità è che, mentre loro ti chiamano per nome senza che te ovviamente gli abbia mai permesso di farlo, spesso dimenticano il tuo cognome. Quel cognome collettivo che si chiama “Cittadino”.
Alla fine, il “tu” dei politici non è un segno di vicinanza, ma un’illusione di intimità.
È il “copia e incolla” dell’amicizia, usato per mascherare il distacco reale.
Un tempo il lei e persino il voi servivano a riconoscere la dignità dell’interlocutore; oggi il tu serve a “metterti a tuo agio”, mentre nel frattempo ti ricordano che il potere resta nelle loro mani.
Insomma, non è confidenza: è marketing linguistico.
E quando un politico ti si rivlge dandoti del e dicemdo: “Dai, dammi del tu”, ricordati sempre che in realtà è lui a dartelo… ma per poterti parlare dall’alto in basso.

Lascia un commento
stai rispondendo a