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Riflessione a 128 anni dalla nascita di Dino Campana

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Riflessione a 128 anni dalla nascita di Dino Campana Riflessione a 128 anni dalla nascita di Dino Campana © n.c.
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Dal nostro lettore Marradese Rodolfo Ridolfi riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo sul 128esimo anniversario della nascita di Dino Campana, il 20 agosto:

Ho scelto per questo 128° anniversario Il grande amore del poeta di Marradi per la Romagna: Laggiù nel crepuscolo la pianura di Romagna….dove si perde il grido di Francesca…, guerriera, amante, mistica, benigna di nobiltà umana, antica Romagna.

E’ a quest’amore ed alle frequentazioni romagnole di Dino Campana che questa riflessione vuol rendere omaggio in questo 2013 Perché Faenza e la Romagna e non Firenze e la Toscana. Perché la Firenze di Papini di Rignano e Soffici di Poggio a Caiano è il teatro del dissidio letterario. Campana definisce infatti l'ambiente letterario fiorentino in una lettera del maggio 1913: ... E se di arte non capite più niente cavatevi da quel focolaio di càncheri che è Firenze e venite qua a Genova: e se siete un uomo d'azione la vita ve lo dirà e se siete artista il mare ve lo dirà…. Mandate via quella redazione che a me sembrano tutti cialtroni…La vostra speranza sia fondare l'alta coltura italiana. Fondarla sul violento groviglio delle forze nelle città elettriche sul groviglio delle selvagge anime del popolo, del vero popolo, non di una massa di lecchini, finocchi, camerieri, cantastorie, saltimbanchi, giornalisti e filosofi come siete a Firenze…. Alla fine del 1913 esasperato, perché Papini e Soffici hanno perso il manoscritto de “Il più lungo giorno” minaccia di venire a Firenze con il coltello per farsi giustizia dell'infame Soffici e i suoi soci, che definisce sciacalli.

Faenza ritorna continuamente nel corso dei Canti Orfici, essa fu infatti per Campana un punto di riferimento per tutta la sua infanzia e adolescenza. Faenza è il luogo dove il corso del tempo fu sospeso, la sede della grossa torre barocca che porta i simboli dell'antica fede, cioè la città carica di storia dove persino i volti delle ragazze richiamano un passato a suo modo perfetto ma divenuto indecifrabile. Sono immagini pittoriche, anzi scorci cinematografici. ….. E del tempo fu sospeso il corso.....

Il lunghissimo viale dei platani di Faenza (Lo Stradone) è dominato dalla torre barbara, emblema vivo di un mito lontano e selvaggio entro il quale si agitano ricordi di zingare, grandi figure romane, profili bizantini e divini primitivi, e la campana argentina della limpida sera sembra evocare eteree dolcezze spirituali, subito contrastate dal ricordo malinconico e decadente delle prostitute della casa di appuntamento. Nell'antico silenzio delle strade, circondate da chiese e conventi, una misera umanità lacera e servile striscia abiezione ed umiltà davanti a minacciosi volti barbuti di frati, cupi come il destino di questi infelici mendicanti.

L' immagine della città ci viene riportata dapprima attraverso alcuni dei suoi elementi architettonici come una grossa torre barocca o i suoi Palazzi rossi. La città si anima di qualche cosa di danzante, presenze femminili attraversano le sue piazze come creature misteriose e affascinanti. Faenza quindi sembra racchiudere un simbolismo magico e oscuro, come se le sue mura e le sue strade significassero per il poeta qualche cosa di molto diverso da un semplice centro cittadino.

Ascolto: la grossa torre barocca ora accesa mette nell'aria un senso di liberazione, la torre infatti dona a Campana una sensazione di liberazione, come se lo staccasse dalla sua condizione umana e terrena. Questa torre ha un orologio e dalla sua posizione dominante segna l'inevitabile passare del tempo e illuminando una piccola Madonna bianca porta illuminati i simboli del tempo e della fede. L'unica presenza umana è rappresentata da  matrone piene di fascino che il poeta percepisce quasi come elementi architettonici, sospese in un atmosfera  onirica. Tali figure femminili conferiscono però alla situazione qualche cosa di danzante,  danno quindi una nota di vita.

" La piazza ha un carattere di scenario nelle logge ad archi bianchi leggeri e potenti".

 Faenza torna nuovamente nei Canti con figure femminile, molto diverse dalle adolescenti di Firenze. Passa la pescatrice povera nel caffè concerto, rete sul capo e le spalle di velo nero tenue fitto di neri punti per la piazza viva di archi leggeri e potenti. Accanto una rete nera a triangolo a berretta ricade su una spalla che si schiude: un viso bruno aquilino di indovina uguale alla notte di Michelangiolo e poi Ofelia la mia ostessa è pallida e le lunghe ciglia le frangiano appena gli occhi: il suo viso è classico e insieme avventuroso. Queste donne rimandano certamente alla pittura e alla poesia. Faenza è per Campana un simbolo: La vita ha qui un forte senso naturalistico. Come in Spagna. Felicità di vivere in un paese senza filosofia. Faenza sembra incorporare l'idea dello slancio vitale e primario della danza ma come la Spagna è abitata da gente immediata, sanguigna assolutamente terrestre. E non poteva sfuggire al grande marradese la vocazione propria di Faenza ad essere l’Atene della Romagna ed ecco allora: II museo. Ribera e Baccarini. Nel corpo dell'antico palazzo rosso affogato nel meriggio sordo l'ombra cova sulla rozza parete delle nude stampe scheletriche, spicca ancora una volta sulla scenografia campaniana l'elemento artistico e la danza, Durer, Ribera. L'eco dei secchi accordi chiaramente rifluente nell'ombra che è sorda. Ragazzine alla marinara, le lisce gambe lattee che passano a scatti strisciando spinte da un vago prurito bianco. Un delicato busto di adolescente, luce gioconda dello spirito italiano sorride, una bianca purità virginea conservata nei delicati incavi del marmo. Grandi figure della tradizione classica chiudono la loro forza fra le ciglia e così lo spirito italiano si fa depositario della grande tradizione classica

I lampi del poeta intrecciano ricordi di amori faentini e bolognesi nel profumo, un po' lascivo, di rose spampanate e nella volgarità debordante, scomposta e opulenta delle vecchie ruffiane che ci conducono con la mente alle sculture di Botero. Si sovrappongono i primi sogni delle giovani sartine incuriosite dal mistero e la fuga oltre le Alpi e le scintille raminghe di amori improvvisi nel nitore delle vette e la sensualità selvaggia della Pampa che rivive nella sfiancata lussuria del ritorno, abbandonato e spossato nelle forme dell'amore evanescente. Io vidi dalle solitudini mistiche staccarsi una tortora… La Verna, Campigno, Stia, Marradi, La Falterona, Dante e la sua poesia.

 

 

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Commenti 2
  • Rodolfo Ridolfi

    Ringrazio Ninni per le pregevoli considerazioni che condivido

    rispondi a Rodolfo Ridolfi
    gio 1 agosto 2013 11:43
  • iacopo Ninni

    Dino Campana ha fatto scuola e continua a stupirci nonostante i Soffici e Papini di tutti i tempi che continuano ancora oggi a rinchiudere la poesia in piccoli, noiosi, soffocanti polverosi campanili. Come lui, hanno rischiato di fare la stessa fine poeti eccelsi come la contemporanea Antonia Pozzi o poeti pi attuali che devono molto allo stesso Campana come Cristina Campo, Bartolo Cattafi o Emilio Villa di cui per esempio quest'anno cade il decennale della morte. Campana ha reso la poesia "tridimensionale", i paesaggi di Campana non sono mai ritratti, ma sono "esperienze" sonore, olfattive, fisiche nel loro dolore e fatica. La sua poesia ha aperto la percezione pi dei futuristi e ha avuto il merito di andare oltre l'immaginario aulico e retoricamente intimista che ancora contamina il modo di far poesia.

    rispondi a iacopo Ninni
    gio 1 agosto 2013 10:30