Cuba non è un paese per vecchi...
Una nuova puntata del diario di viaggio di una studentessa mugellana a Cuba:
Nonostante abbia già raccontato in precedenza di come e quanto siano presenti e importanti gli anziani a Cuba, mi sento comunque di affermare (grazie, fratelli Cohen) che “questo non è un paese per vecchi”! Se alla vigilia della rivoluzione del 1959 questo paese contava circa solo 6 milioni di persone, oggigiorno è quasi raddoppiato, e ne conta circa 11 milioni. Risulta quindi evidente che più della metà della popolazione è sotto i 50. Un paese giovane, fatto di giovani, ma diretto per lo più da anziani. E non c’è di che stupirsi, è solo una delle mille contraddizioni in cui ci si può imbattere in quest’isola…
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Insomma, in quest’isola e non solo! Mi sembra in realtà piuttosto globalizzata la questione, in fin dei conti nella nostra penisola viviamo lo stesso problema di “gerontocrazia”, in forma forse più pesante essendo noi giovani in minoranza… Al di là delle considerazioni statistiche, il fatto diventa palpabile per strada, soprattutto il pomeriggio con le miriadi di bambini che giocano al parco o lungo le strade, o che si ammassano in qualche piazza per gli spettacoli dei pagliacci e degli acrobati. Bambini che sono seguiti ed educati da istruttori non troppo più grandi di loro, insegnanti tra i venti e i trent’anni con i quali si instaura una complicità davvero unica.
Ma è ancor più evidente la sera, quando il Malecón, il lungomare dell’Avana, La rampa, o l’Avenida de los Presidentes si riempiono di giovani, dai 13 anni ai 35 passati, e stanno insieme senza complessi, fanno festa senza sentirsi a disagio. Si può vedere di tutto: innamorati che si baciano, gruppetti che animatamente discutono di baseball, di musica, di storia, di politica o di sesso, non importa, l’importante è stare insieme.
Molti escono con i propri strumenti: chitarre, armoniche, jambée, così che ogni momento è buono per improvvisare una serata, trasformarla in festa e viverla da protagonisti. Si canta, si balla, si ride e ognuno è il benvenuto, tanto più se ha qualcosa di sé da offrire. Insomma, c’è posto per tutti ed è difficile sentirsi fuori luogo: convivono irriducibili comunisti e aspiranti capitalisti, musicisti tradizionali come i trovadores, e fanatici modaioli del reaggeton, sandungueras e ballerine di danza classica, metallari con i capelli lunghi e rapper in stile caraibico.
Pensate che sabato sera, mentre discutevo e bevevo con una amica argentina nel più famoso incrocio del quartiere del Vedado, ufficialmente chiamato 23 y G, ma familiarmente conosciuto come la oficina, cioè l’”ufficio”, è iniziata un’animata discussione tra un gruppo di ragazzetti alla moda occidentale, qui un po’ “tamarra”, e un gruppo di punk anch’essi giovanissimi con tanto di toppe e creste colorate alla Sex Pistols. Che grazioso e ironico paradosso! Soprattutto perché dopo qualche grido e spintone è finita lì, fortunatamente: i due principali fomentatori sono stati semplicemente allontanati dai rispettivi amici. Se non fossi stata ancora sobria avrei pensato di trovarmi nella Londra degli anni ’70 invece che nell’Avana del 2010!
E invece è proprio questa L’avana del ventunesimo secolo: estremamente bella e affascinante perché varia, aperta, molto più tollerante, ma allo stesso tempo anche confusa, spaesata, insicura e indecisa… Ogni volta che mi rendo conto di questi forti contrasti, mi fermo a pensare. Nel 1959, la rivoluzione fu portata avanti da una generazione di ventenni, con l’aiuto di molti adolescenti e adulti, fu appoggiata dagli anziani, ma fatta da giovani che riuscirono ad imporsi con la forza delle idee e una discreta coerenza nelle azioni.
E solo un giovane, penso io, può trovare tanta forza, coraggio e speranza dentro di sé. Oggi Cuba è ancora governata dagli stessi ex-ventenni di quel momento, ma sta inevitabilmente vivendo uno strano periodo di transizione necessaria verso una nuova generazione. La mia stessa generazione.
Una generazione mondiale globalmente disorientata, che vorrebbe continuare a credere ma che è illusa e disillusa dalla realtà. E se questo mi sembra un dato di fatto piuttosto generalizzato nel mondo, diventa un tema ancor più sensibile in questo paese: i giovani cubani cresciuti negli anni novanta, hanno sì goduto delle tante nobili conquiste sociali e morali che le dure lotte dei loro padri hanno reso possibili, come educazione, cultura, sanità, dignità dell’essere umano, ma non hanno vissuto le privazioni precedenti la rivoluzione, la forza che motivava le lotte stesse, ma anzi, hanno vissuto i momenti neri e inevitabili della decadenza di parte del loro sogno, quel periodo especial en tiempo de paz che tuttora non può dirsi concluso, per la mancanza di risorse, di cibo, di possibilità di industrializzazione e autonomia, tutta una serie di privazioni materiali di vario genere difficili da affrontare con tutta la buona volontà.
E le soluzioni cercate e trovate non sempre sono state le migliori, ma anzi, come spesso accade in questi casi, quelle dettate dall’emergenza della situazione. Questa non facile realtà genera quindi la necessità di una profonda riflessione, per non perdere la dignità, le conquiste, la volontà e la speranza di persistere nei propri valori, ma anche per cercare di imparare dai propri errori e da quelli di altri e iniziare così migliorarsi, sempre, attraverso nuove soluzioni, certo non facili e immediate, ma possibili e credibili.
E a questo proposito voglio essere ottimista, credere in me e in tutta la generazione che mi accompagna in questo mondo, e tanto più nella nuova generazione dei miei amici cubani, perché riesca ad essere ancora una volta sopra le righe, forte e dignitosa come si è dimostrata fino ad ora nonostante errori e sconfitte, perché non manchi un nuovo Bolivar, Martì o Che Guevara, perché non posso credere che ci sia un solo e crudele mondo possibile.
Possiamo sempre migliorarci per avanzare. Dobbiamo migliorarci. Oggi più che mai. Sennò dove si trova un senso alla vita?


