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Le ragazze negli Anni Venti in Mugello. Vita e storie....

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Nuova puntata della rubrica 'C'era una volta in Mugello', a cura della nostra collaboratrice Matilde Colarossi. Un lungo intervento che ci racconta, per bocca dei protagonisti, come era la vita in Mugello negli anni Venti. Buona lettura:

Il 29 giugno del 1919, in un caldissimo giorno afoso, un rombo squarciò il cielo e la terra tremò. Le prime scosse si avvertirono nella mattinata, ma la scossa maggiore fu avvertita poco dopo le tre del pomeriggio;  l'epicentro era a Vicchio, ma tutto il Mugello ne pagò le conseguenze. Ci furono oltre cento morti, quattrocento feriti e migliaia di senzatetto. 

I ricordi della signora Maria iniziano quel giorno: "La terra si aprì proprio davanti alla mia mamma. Aveva me in braccio, eravamo in un campo a Monte Poli; era caldissimo quel giorno e la gente era andata un po' sul letto. Uscirono in strada mezzi nudi, così come si trovavano. Fu terribile".

La signora Maria, che aveva poco più di un anno all'epoca, non può ricordare il terremoto, il boato, la terra "ballerina", ma ha sentito raccontare questa storia così tante volte in casa che oramai il ricordo le appartiene; come pure la devastazione che ne seguì e il segno che lasciò sul territorio e i suoi cittadini. Fa parte della sua storia, dei tanti eventi che le affollano la mente e che oggi le fanno riprovare "l'angoscia degli anni".

Nata nel 1918, la signora Maria non dimostra i suoi anni. E' ancora una bella signora con la mente lucida e la schiena diritta di chi ne ha viste tante; ma che non si è fatta piegare dalle ingiustizie di una lunga vita. Di una guerra mondiale e una "guerra civile" fatte di nefandezze che hanno colpito tutti indiscriminatamente. "Eppure", dice, "allora la parola Onorevole aveva ancora al suo interno il significato della parola Onore. Oggi...".

Scesa da Monte Poli, sopra Sant'Agata, nel '23, la famiglia prende casa nel centro del Scarperia. La signora Maria vive l'infanzia tra le mura della città, calpestando quelle lastre tutti i giorni per andare a scuola, a raccogliere l'acqua al pozzo in piazza, a prendere un'acciuga per merenda e, specialmente, a fare i nastri, cioè andare su e giù per il paese la domenica pomeriggio.

Ricorda la morte di Puccini, nel '24, quando aveva 6 anni. Come le fece tanto impressione, dice, vedere tutte le case con le bandiere nere alle finestre in segno di lutto.
"Dopo, con la nostra bandiera, c'involtammo un cagnolino..." ricorda.

Negli anni venti a Scarperia c'erano due scuole. Le femmine andavano dalle suore, nella parte interna del Chiostro, e i maschi andavano in un'altra, di fronte ai giardini.
Scuote la testa e ride, "Mio marito raccontava sempre del Maestro Nesterini. Era bravo, dava del lei agli alunni, e quando sbagliavano l'interrogazione gli diceva 'alzi la coda e sieda!'"

Le suore si chiamavano "Beate Suore di Santa Teresa di Bambino Gesù", e nella scuola c'erano 4 o 5 maestre e 10, 12 bambine. Nel pomeriggio c'era la scuola del lavoro. Si imparava a fare i ricami e si guadagnava qualche spicciolo. "Non ho mai chiesto un centesimo ai miei genitori" dice orgogliosa, "e più tardi, quando lavoravo in un negozio di stoffe e tiravo il filo per fare il taglio diritto, i clienti dicevano al proprietario: 'Ma dove l'ha trovata una così brava?' Ma non avevano visto i ricami di Suor Giulia per il Principe Borghese, o le calze elastiche, fatte all'uncinetto, per Annina, o la sottoveste che feci per la signora Frette".

Sua mamma usava dirle: "Non stare con la testa alta perché il lavoro cava le voglie!" E qualche soddisfazione Maria davvero se la levò: "A Scarperia venivano i villeggianti da Firenze d'estate. Noi s'aveva tutte le scarpe nere, ma loro no. Desideravo tanto un paio di scarpe di un altro colore! Mettevo da parte tutto, anche i  20 centesimi che mi davano i fratelli per lustragli le scarpe, e ce la feci a comprarmi un paio color champagne. Mi piacevano tanto; le portavo con me perfino a letto!"

Ogni mattina la mamma della signora Maria preparava il caffè latte, lo 'dolciva' lei direttamente nella brocca e lo serviva a tutti. Il babbo, merciaio, partiva per i mercati. Il lunedì andava a Firenzuola, per esempio. Ci andava col cavallo e il barroccio, prima da solo e poi, quando erano più grandi, con i fratelli, e d'inverno era un'avventura. Maria aiutava la mamma, andava a scuola, ricamava il pomeriggio, e aspettava, come tutte le sue amiche, la domenica pomeriggio per fare i nastri.

Aiutava la mamma in tutto, con la cucina, con il bucato. Prendeva l'acqua dal pozzo con la mezzina per riempire la grossa conca di coccio e poi guardava mentre la mamma preparava le stecche col panno e le tirava sopra le lenzuola. Poi spargeva la cenere e versava l'acqua bollente sopra il panno per fare la lisciva, la "ranna", dice lei. I panni venivano tutti "puliti e profumati, più di ora". Andavano al fiume a sciacquarli e poi, una volta stesi sui cespugli ad asciugare, dovevano guardare che nessuno li prendesse, "finché il babbo non eliminò la soffitta e così si stendevano sulla terrazza. Non ci si fermava mai. C'era sempre da fare. Prima della benedizione, per esempio, si puliva tutto a fondo. Lo sa cos'è la madia?" mi chiede, "beh, si portava in strada e si lavava con acqua e lisciva. Si correva nei campi a cercare l'erba vetriola per pulire i vetri. E si innaffiava i pavimenti prima di spazzarli...Per non fare alzare la polvere."  

I maschi, però, non si incontravano spesso, e guai ad avere un appuntamento! Allora per scambiare qualche parolina durante la settimana bisognava sostare al pozzo, perché l'acqua nelle case arrivò solo molto più tardi, nel '34, circa, e "grazie all'intervento del Principe Borghese" dice.

"Come si correva con quella mezzina per prendere l'acqua” dice e mi spiega che la mezzina era una specie di vaso con i manici ai lati o con il manico, non molto grande, “E la mamma diceva, ma quanto ci mettete per andare al pozzo? Altre volte si svuotava apposta per poter fare un altro viaggio. Era l'unico modo per parlare un po' con i maschi". Comunque quando arrivò l'acqua in casa e la signora Maria lo ricorda bene. Aveva circa 16 anni e furono tutti felici: "Quando finirono il lavoro e aprirono il rubinetto e uscì l'acqua, la mamma era così contenta che fece un pranzo di tortelli per tutti!"

La vita nelle mura era movimentata. Le botteghe si aprivano sulla strada. C'era di tutto: chi faceva i materassi, chi faceva corone per morti con i fiori di campo, chi metteva le toppe alle conche di rame, tre macellai, il barbiere che tagliava i capelli sia ai maschi che alle femmine, ma per lo più le botteghe erano tutte di coltellinai e forbiciai.

Dietro i portoni di legno si batteva tutto il giorno, senza tregua, fino allo sfinimento. La fucina accesa, l'odore forte del ferro incandescente che riempiva le strade e un ritmo incessante del incudine facevano da sottofondo a tutto il resto. Dalle 8 alle 12 e dalle 2 alle 6 era tutto un battere: "Quando chiudevano le botteghe si tirava un sospiro di sollievo e si riposava un po' le orecchie".

Le ragazze ricamavano davanti alle porte o dietro la fortezza, dove c'era un  po' di corrente, d'estate. Si mettevano in un grande cerchio e qualche volta si cantava "più o meno stonate", ride, "e da dietro qualche finestra a volta si sentiva urlare 'chetati, che tu fa' piovere', o si raccontava qualche diceria...".

D'inverno stavano soli in casa con il veggiolino - un vaso di coccio o di rame con dentro la brace - ai piedi, o si univano, quelli del lavoro, in varie famiglie: "L'uomo di casa ci leggeva i romanzi a voce alta: "Le tre orfanelle", "Il padrone delle ferriere£ ... Quanto si piangeva a sentire quelle tristi storie".

E poi c'erano i nastri. Quando la signora Maria parla di quelle passeggiate in su e in giù per il paese si illumina. "Le ragazze, ci chiamavano i fiorellini del paese - dice - si mettevano i vestiti migliori e la domenica pomeriggio facevno tanti e tanti nastri. Di più se si aveva un vestitino da rinnovare! Le mamme sostavano agli angoli delle strade a controllarci. Bisognava stare nel perimetro, sulle pietre del paese, ma qualche volta si 'evadeva', usa proprio questa parola e ride.

"Una volta, si camminò su, fuori dalle mura, e uno ci seguì. Ogni tanto diceva a voce alta '100, 200, 300' e così via. Finché non intonò forte 'e cento stelle in cielo brillano!'"
Qualche volta, racconta "se si voleva fare di più che parlare", si riusciva ad appartarsi, ai giardini, tra le frasche dove c'era più buio.

E le mamme appostate agli angoli, chiedo, come facevano a non vedere? La signora Maria non si scompone: "Anche le mamme avevano fatto uguale!"

 

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