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La pandemia e i medici che diventano anche pazienti. Una riflessione

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Medico paziente Medico paziente © N.c.
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Dalla Dott.ssa Stefania Guerri (mugellana e già presidente della locale Avo, Associazione volontari ospedalieri) psicosintesista, riceviamo e molto volentieri pubblichiamo questo interessante contributo (raccolto da Aldo Giovannini), in tempi di Covid-19: “Dal latino “patiens” participio presente del verbo pati (soffrire-sopportare) indica una persona in cura da un medico in quanto sofferente, malata. Ma la parola paziente nella lingua italiana è anche comunemente usata con il significato di una persona che ha pazienza, cioè sopporta alcune situazioni non necessariamente collegate alla sua salute.

Vorrei sottolineare però il ruolo del paziente riferito a persona malata e cercare di analizzare con empatia la situazione nella quale si trova il “paziente” malato. Quando poi il paziente malato è un medico i ruoli si sconvolgono. Ed ecco che nel ruolo che si inverte il medico-paziente diventa anche il medico di se stesso perché è inevitabile che i sintomi che lo hanno portato ad essere “paziente” non siano analizzati e diagnosticati da lui stesso insieme alla diagnosi che altri medici suoi colleghi esprimano su di lui. In queste situazioni la figura del paziente che il medico -paziente ha esaminato per anni si personalizza e non è più uno fra i tanti che numericamente è anonimo per il cosiddetto principio di privacy, come quando ai letti in ospedale non c’è più un nome ma un numero. Il medico-paziente personalizza di nuovo quei tanti numeri che tolgono alle persone la dignità del proprio nome.

Il medico che diventa paziente ci pone il concetto che la teoria dovrebbe trasformarsi in pratica, vale a dire che nessun medico dovrebbe ammalarsi perché ciascuno di noi viene privato di assistenza al bisogno. Ma anche il medico è un essere umano e soggetto a tutto quanto può accadere a ciascuno di noi, tanto più che vicino al malato il medico può contagiarsi. Naturalmente ci si riferisce al malato grave, come in questo periodo di pandemia che, se il virus colpisce persone già portatrici di gravi malattie può anticiparne il fine vita. Ma andando oltre questa riflessione si può sottolineare che il medico dovrebbe essere ispirato dal voler esercitare il ruolo di un missionario quando decide di intraprendere questa professione. Dovrebbe essere portatore di tanta empatia e di tanto amore per lenire le sofferenze altrui. Ecco che ci colleghiamo al pronome TU che fa andare oltre se stesso. Pertanto per tutti coloro che intuiscono che il loro cammino è quello di dedicarsi agli altri la professione ne viene onorata..

Nel periodo storico che viviamo per la pandemia da Covid-19 della quale si parla da mesi (come se le malattie di altro genere si fossero abolite automaticamente senza più dare voce nemmeno alla sanità stessa), il ruolo del medico si è concentrato esclusivamente sul cercare di curare e salvare tante vite aggredite da questo sconosciuto virus. Quando in medicina di deve affrontare una “presenza” sconosciuta, come in qualsiasi altra situazione della vita, lo sconosciuto diventa un nemico ed è difficile che il nemico non spaventi e lo spavento si trasformi in paura. La paura è un blocco che spesso squilibra anche la persona più saggia e più preparata. Il medico si rende conto della responsabilità di “possedere” improvvisamente la vita di un altro essere umano. Deve assolutamente curarla e salvarla ma quando intuisce che la sta perdendo si può addirittura identificare nel malato al punto di abbassare talmente le proprie immunità e lasciarsi aggredire dal nemico che gli impedisce di salvare quella vita, nonostante tutte le cure tentate. Ed il nemico si impossessa del medico che diventa paziente e poi può addirittura seguire il malato che diventa terminale e perdere anche lui la propria vita. La sofferenza di alcuni medici impotenti di fronte alla morte deve essere deleteria.

Nella facoltà di medicina dovrebbe essere inclusa anche la disciplina della Pazientologia perché il malato è una persona e non solamente un portatore di organi. Il concetto olistico di malattia riguarda sia la sintomatologia di sofferenza di uno specifico organo ma riguarda anche l’aspetto psicologico del paziente che deve sempre essere considerato nella sua dignità di persona. Il rispetto che gli è dovuto deve fargli percepire di potersi affidare ciecamente al medico che lo prende in cura, deve fargli sentire la compassione che suscita nel medico che partecipa alla sua sofferenza tanto da immedesimarsi nel paziente e rassicurarlo sul suo impegno per aiutarlo ad uscirne.

ùDal latino “sacrum facere” deriva il concetto che il malato è “sacro” nel senso che diventa il sacrificio di se stesso nella sua sofferenza fisica ma anche nella sua sofferenza morale, psicologica, perché si sente estraniato, messo in pausa nel suo percorso, emarginato. La sofferenza morale, oltre che fisica, è ancora più percepita dal medico che diventa paziente.

Auguriamoci che i vari periodi di gravi malattie entrati nella storia dell’Umanità tutta portino un giorno, nel tempo futuro, a riconsiderare che tutti siamo di passaggio su questa terra, che saremo eterni non qui ma in un’altra dimensione, che è quella spirituale, e cercare di anticiparne il valore durante il nostro cammino terreno per migliorare i reciproci rapporti ed ottenere quella tanto “parlata” pace-“.

Stefania Guerri

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