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Giovan Battista Stefaneschi, una pazienza da eremita

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Giovan Battista Stefaneschi, una pazienza da eremita Giovan Battista Stefaneschi, una pazienza da eremita
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A Ronta nacque nel 1582 al “maestro” muratore Francesco un bimbo chiamato Melchiorre. Forse, la speranza era che dando quel nome al neonato arrivasse in casa uno dei tre Re Magi a portare quella ricchezza che al muratore mancava da sempre. A dire il vero, non è che Francesco aspettasse proprio la ricchezza, a lui sarebbe bastato veder partire la miseria, non sarebbe stato poco. “Non per vantazione, ma la miseria che ho io non ce l’ha nessuno”, diceva sempre mio nonno (e non ho mai capito se scherzasse o dicesse sul serio!).

Successe che l’inevitabile destino muratore di Melchiorre deviò verso la vocazione religiosa, manifestatasi precocemente con momenti di estasi solitaria e di contemplazione da lontano dell’eremo di Montesenario. Il padre capì che qualcosa non andava, ma non ostacolò il figlio quando chiese di entrare tra i Servi di Maria con il nuovo nome di Giovan Battista.

Era il 1604 quando l’ex Melchiorre diventò finalmente un’eremita, mentre fu sacerdote due anni dopo officiando la prima messa. La regola claustrale, il silenzio assordante, la meditazione, la lettura sacra e la preghiera sembravano fatte apposta per lui. E poi c’era la pittura, alla quale si avvicinò grazie a padre Arsenio Mascagni che lo introdusse nelle grandi botteghe fiorentina dove mostrò, se non genio artistico, perlomeno grande pazienza, umiltà e voglia di imparare.

Fra Stefaneschi diventò un Maestro, con opere oggi conservate sia nel convento di Montesenario (dove visse a lungo) che altrove. Lavorò anche per il convento di Luco e, quando qualcuno arrivò a definirlo “il Beato Angelico dei Servi di Maria”, lui mugellano non stava più nella pelle dalla contentezza! Se non fu eccelso in tutte le opere realizzate, era sicuramente un bravissimo miniaturista, tecnica in cui gli artisti mugellani del tempo sembrano misteriosamente eccellere. Forse è perché a farle ci voleva una grande.. pazienza, da eremita appunto!

Apprezzato dai Granduchi medicei e da Papa Urbano VIII che lo convocò a Roma, Melchiorre era pure grande amico di Galileo Galilei con cui intrattenne una corrispondenza confidenziale. In vecchiaia fu perseguitato dai problemi di vista che forse si era sforzato troppo nell’esecuzione d'infinite miniature. A parte la pazienza e la modestia (si firmava Gio Batta eremita), mistero fitto regna invece su altri aspetti della sua personalità, a parte qualche aneddoto.

Dovete sapere che un giorno stava concludendo una miniatura difficoltosa che lo aveva impegnato molti mesi mentre la vista si faceva sempre più debole. Fra Martino, religioso suo amico, suggerì di dare sulla cartapecora appena dipinta una cera protettiva che lui stesso aveva realizzato e che aveva anche un certo odorino… Il committente avrebbe trovato così un’opera adeguatamente e degnamente protetta. Saputa la cosa, scoppiò una grande agitazione tra i topi del convento, tanto che quella stessa notte…

Ma non voglio certo togliervi il piacere di leggere il finale della storia raccontato nel mio libro FURONO PROTAGONISTI! Sarei davvero troppo carogna.

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