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L'Italia post Covid non è un paese per giovani. Una riflessione

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L'Italia post Covid non è un paese per giovani. Una riflessione L'Italia post Covid non è un paese per giovani. Una riflessione
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Ci scrive Paolo Caramalli, personaggio molto conosciuto in Mugello e già presidente di importanti associazioni locali: Egregio Direttore, l’anno scolastico volge al termine e mi sembra doveroso far notare che anche io, come tanti altri genitori, ho in casa degli autentici eroi Covid: i miei figli.

Non considerati da una civiltà che cerca indefessamente di ostacolare chi osi procrearli, che li dimentica sistematicamente quando si deve parlare di diritti fino ad emarginarli anche con modalità vagamente illegali come l’aberrazione dei locali PUBBLICI ma vietati ai bambini (…magari alla luce della pandemia certe scelte saranno rimpiante…), che li sfrutta bombardandoli con ogni sorta di messaggio vacuo e tendenzioso immaginabile pur di stimolarne gli istinti primordiali da far poi sfogare con incessanti richieste a danno dei malcapitati genitori di turno, che scarica doveri e responsabilità educative addomesticandoli con l’immersione in venefici bagni magmatici di anestetiche tecnologie per far creder loro di esser diventati grandi mentre sono ancora imberbi, che scarica su di loro anche il livello parossistico dell’insostenibile pesantezza delle restrizioni alla mobilità personale conseguenti all’emergenza covid.

Di questi tempi, infatti, essere giovani significa venire costretti a vivere un’estate della propria giovinezza confinati in spazi fisici esigui e in spazi sociali pressoché assenti. Significa non potersi abbracciare. Significa essere bersaglio quotidiano di una sgangherata didattica che, purtroppo, e non certo per colpa degli insegnanti, si rivela più di emergenza che a distanza. Significa non poter andare a scuola in pulmino o a piedi con gli amici di tutte le mattine, per scoprirsi ogni giorno di più tra l’acqua della pioggia e la calura del sole. Significa venire deprivati dell’emozione dell’ultimo giorno di scuola, dopo aver visto svanire quella del giorno dell’uscita delle pagelle e aver perduto anche il diritto ai segreti custoditi nel registro di classe, in tempi migliori autentico talamo del sacro rapporto Maestro-Alunno. Significa veder procrastinare all’infinito il proprio “giorno dei giorni” financo a non sottoporsi ad alcun esame di fine ciclo scolastico prima di esser divenuti, nel frattempo, adulti e maggiorenni! Significa dover rinunciare “senza se, e senza ma” a obiettivi e progressi sportivi e artistici perseguiti e inseguiti da mesi o anni. Significa essere caricati di un peso psicologico enorme per il continuo martellamento medico-informativo che mass-media e genitori infliggono gratuitamente sul tema di questo beneamato virus, fino a provare il terrore di credere che il babbo sta uscendo di casa e non tonerà mai più e che, in ogni caso, alla fine moriremo tutti. Significa acquisire dimestichezza quotidiana con dispositivi che per le generazioni passate erano di stretta peculiarità medica. Significa non riconoscere ma, anzi, rimanere splendidamente inebetiti davanti ai propri amici quando li si scorgono per la prima volta dal vivo, seppur in lontananza, dopo mesi di clausura forzata. Significa provare un innaturale imbarazzo davanti a quegli adorati nonni intravisti raramente, a distanza e “mascherinati”. Significa chiedere un sacco di cose che ci fanno capire quanto si péggiora crescendo “tipo, perché i cani possono uscire quando e quanto vogliono di casa mentre noi non possiamo farlo?”, “perché chi ha meno di sei anni è come Superman e può uscire senza mascherina?”, “perché quel signore è al parco mentre noi non ci possiamo andare?” etc etc etc

Significa essere gettati con la catapulca (come dice Marco) di punto in bianco nel noioso mondo dei cosiddetti grandi, dove però mancano i tipi più giusti e divertenti: i propri simili. Significa essere costretti a compiere forzatamente un repentino salto di crescita in una società che dal giorno della nascita fa di tutto per mantenerli “bamboccioni” il più a lungo possibile. Significa, persino, non sapere chi vincerà quest’anno il campionato di calcio! Significa molte altre cose che questo maldestro genitore non può ricordare né addebitare e, in certi casi, giustamente, neppure sapere.

Significa essere davvero unici e irripetibili.

Paolo Caramalli

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Commenti 1
  • Ugo Natalino

    La problematica non è solo ristretta ai giovani, si chiama FAMIGLIA, giovani, genitori, nonni. Viene da lontano, per esattezza in Italia non viene presa in considerazione, se non a compartimenti "stagno",separati e utilizzati strumentalmente a seconda della convenienza. La pandemia ne è l'esempio evidente, si decide che gli anziani stiano a casa(autosufficienti tutti?), I nipoti continuano la scuola.... I genitori a lavoro..... Un intreccio scordinato. Poi un libera tutti..... Parolone, progetti, concretezza realizzazioni....? Così è. QUESTA È LA REALTÀ. GRANDI PAROLAI. Oramai fanno storia. Adesso meno parole e più fatti. Meno campagne elettorali. Più onestà. Ugo

    rispondi a Ugo Natalino
    mer 3 giugno 2020 07:18