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Jacopo Gheser. Un mugellano racconta la povertà in Messico

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La povertà, in Messico, ha molti volti. Ha il volto, per esempio, di un venditore ambulante, che cerca di guadagnarsi le giornate vendendo sacchetti della spazzatura ai semafori delle inquinate carreterasHa il volto di una donna, che passa intere giornate impastando e stendendo tortillas, smerciate poi per pochissimi pesosO quello di un bambino, che chiede denaro mentre il padre suona un violino poco accordato. Il Messico è un paese dai molti volti, nei quali milioni di occhi guardano alla loro vita e al futuro senza scorgere segnali di speranza.

Qualche cifra. Il 43,7% dei Messicani vive in condizioni di povertà, mentre l’11,7% in condizioni di estrema povertà. Trasformando velocemente le percentuali: su una popolazione di 119 milioni di abitanti, abbiamo 51 milioni di poveri e 13 milioni di messicani in povertà assoluta. Questo significa che circa 64 milioni di persone (più dell’intera popolazione italiana!) in Messico vivono con meno di $1,90 al giorno, delle quali molte presentano estreme difficoltà nell’accesso a beni fondamentali come casa, acqua e cibo. A questa massa di donne e uomini, si stanno aggiungendo poi, sempre più numerosi, i migranti in transizione per gli Stati Uniti, che riuscendo a trovare sempre meno vie per l’emigrazione, rimangono, di fatto, intrappolati nel Paese.

Come riportato in questo articolo de El Universal, una delle principali testate messicane, il lavoro non è garanzia di fuoriuscita dalla povertà: “Spesso [i poveri] lavorano in settori a bassa produttività, in ambienti con scarse misure di sicurezza, senza che vengano rispettati i diritti fondamentali e senza guadagnare sufficientemente per garantire condizioni di sopravvivenza e un futuro migliore per se stessi e per i loro familiari”.

Non abbiamo a che fare, certo, con masse di nullafacenti, tutt’altro. I poveri sono lavoratori instancabili, molti occupati in più di una professione, ma che operano in mestieri troppo poco redditizi, senza garanzie e senza protezione sociale: sarti, parcheggiatori, venditori ambulanti, cuochi di strada.

Gli effetti sociali di questo fenomeno sono devastanti, soprattutto nelle aree rurali maggiormente escluse dall’accesso ai servizi: denutrizione e mortalità infantile, crescita esponenziale delle differenze di reddito, inaccessibilità all’istruzione e ai servizi sanitari.

Cosa succede, quindi, quando lavorare incessantemente e in condizioni precarie non rende le persone economicamente sicure? Senza che gli enormi sforzi in termini di tempo ed energie riescano a garantire un livello soddisfacente di vita? In questa democrazia, nella quale interi stati della Federazione sono ormai proprietà privata dei cartelli della droga, è presto detto. Le vie di fuga, e quindi di riscatto sociale, per molti sono limitate e dominate dalla violenza fisica e istituzionale.

Jacopo Gheser

 

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