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La bellezza delle nuvole. Una storia di vita e poesia dal Mugello contadino

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La bellezza delle nuvole. Una storia di vita e poesia dal Mugello contadino La bellezza delle nuvole. Una storia di vita e poesia dal Mugello contadino © n.c.
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Oggi (mercoledì 10 aprile) molto volentieri diamo spazio ad una nuova storia mugellana (anzi, dell'Alto Mugello) che ci racconta Gianfranco Poli: Passeggiando per il cimitero di Palazzuolo mi soffermo sulla foto dei miei bisnonni paterni e non posso non riflettere su quello che la loro immagine racchiude. Due vite delle quali altro non rimane che una sfocata foto impressa nella ceramica. Eppure sono state due persone che molto hanno faticato, molto hanno creato, molto hanno lasciato. Di tutto questo, oggi, rimane ben poco, nelle pieghe della memoria ormai stanca di chi li ha conosciuti.

La memoria che offusca, data l'anagrafe, simile alla nebbia del giorno in cui si incontrarono, dispersi fra castagneti. Lui scendeva da Tirli e lei saliva da San Pellegrino e si trovarono, lontani da tutti, soli nel grigio della giornata. Il fatto che un uomo e una donna potessero trovarsi soli non era cosa da poco e iniziarono a parlare scambiandosi il parco pasto di pane e formaggio e nacque l' amore, ovvero quello che più poteva somigliare a tale sentimento fra due persone che pativano la fame e la miseria e che insieme l'avrebbero potuta affrontare meglio. Si sposarono nel giorno del matrimonio dei genitori del Signore, il 23 gennaio del 1886. Lei aveva 19 anni, lui 23. Andarono ad abitare nel podere di Valtellere che sarebbe diventato il loro feudo. Da una parte il Santerno, dall'altra il monte e i castagneti.

Lei, Maria Righini (detta Marietta 1867-1957) ebbe, fra il 1888 e il 1915, ben 21 figli di cui 12 sopravvissero all'infanzia. Solo una fra questi, Teresa, gli premorì di parto nel 1925. Dopo i primi anni di matrimonio, vissuti a san Pellegrino, si trasferirono a Mantigno presso le case nuove spinti da una persuadente fame che mai li avrebbe abbandonati. Donna di "fede granitica e cristallina" come non se ne trovano più oggigiorno visse per quasi tutti i suoi 90 anni con acciacchi d'ogni genere e il famoso mal di cuore, summa di tutti i mali.

Nel 1946, dopo aver votato al referendum, ruzzolò le scale del comune dove erano i seggi e quando le comunicarono che si era rotta il femore gridò "Miracolo !!! se avessi votato la Repubblica mi sarei rotta l'osso del collo!!!" Tornata a camminare andava ogni giorno da Palazzuolo a Salto dove viveva un figlio e tirava due o tre sfoglie di pasta e tornava a casa. Con l'avanzare degli anni perse la testa e trascorreva le sue giornate accanto al fuoco del camino perennemente acceso perché quando era spento tentava d'infilarsi su per la cappa del camino. Nell'ultimo giorno, vennero radunati i figli e, immediatamente dopo essere spirata, Cesarino, il maschio più piccolo, gettò il cappello per terra gridando "AAAHHH !!! Era meglio se ero morto i !!!" e la mia nonna Beppa gli diede uno scapaccione dicendogli "Invornito!!! Hai 10 figli da crescere!!!". Era il 6 marzo 1957.

Lui era un uomo, che durante i lavori nei campi, a un dato momento, fermava tutti e esclamava "Fermi! Fermi! Guardate in alto!" e tutti alzavamo la testa domandandosi cosa diavolo ci potesse essere d'interessante sopra i loro capi. "Le nuvole! Guardate come sono belle le nuvole!" e i più abbassavano la testa tornando ai loro lavori credendo di aver dato retta ai vaneggiamenti di un vecchio che per troppo tempo aveva lasciato la testa sotto al sole, ma alcuni si fermavano qualche istante a osservare quei giganti per aria e non potevano non convenire con quell'uomo, che per qualche minuto gli aveva ricordato che è bene alzare lo sguardo, ogni tanto, per ricordarsi che vi è qualcosa ulteriore al nostro sguardo fisso in terra, al nostro "Badare lì" come si diceva allora parlando di lavoro.

Quest'uomo si chiamava Domenico Masi (1863-1935) ed era talmente piccolo di statura e talmente povero che lo chiamavano "RE Petito", ma a lui non dava fastidio poiché non e' dato a tutti di essere di una statura inferiore notevolmente alla media e il suo regno era altamente invidiabile: uno stuolo di figli e una moglie degna di essere chiamata "Generale" alta e dritta, non solo di postura, ma anche di economia. (Non mangiava per non cacare, come si diceva). Della sua povertà ne faceva vanto "Se son povero vuol dire che non ho rubato", affermava con convinzione e non poteva che aver ragione quest'uomo che fabbricava, ormai anziano, gli zoccoli per i suoi nipotini e che, per gesto di umiltà, la mattina glieli metteva stando in ginocchio ai piedi del letto.

Avrebbe voluto comandare in quel suo regno, ma il tornare a casa e trovare la porta chiusa perché sua moglie non c' era, gli ricordava la sua democratica impotenza. Nei giorni di mercato, pur non avendo bestie da vendere, e tanto meno da acquistare, scendeva comunque in paese dal podere della Mandria e a chi gli chiedeva cosa mercanteggiasse rispondeva "ossa e stracci" parlando di se. Morì nel campo, un giorno d' inizio estate, mentre stava mietendo. In mano gli misero papaveri e fiordalisi e chiusero la cassa fuori di casa, nel pergolato, perché i figli vollero che le nuvole guardassero quest'uomo che aveva riconosciuto a queste l'importanza di ricordarci che siamo sempre più grandi di quanto ci vogliano far credere piccoli ..."

 

 

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Commenti 1
  • Marco

    Bellissima storia di una realt di altri tempi... Grazie!

    rispondi a Marco
    mer 10 aprile 2019 09:26