Sesta puntata - Quando questo grande edificio fu innalzato, verso la fine del ‘500, visto e considerato che nel 1628 l’architetto-disegnatore-progettista Baccio del Bianco lo impresse in un suo grande disegno quando venne a Borgo San Lorenzo per visionare i danni che subì il ponte mediceo danneggiato da una violenta alluvione (disegno custodito ora al Louvre di Parigi) .
L'edificio era naturalmente “fuori” le mura del Castello borghigiano, quasi adagiato alla Sieve che gli scorre a 30 metri, visto che l’ingresso in paese era da Porta Fiorentina. Fu adibito alla costruzione di variegati carriaggi, barrocci, calessi, carretti e tutte le tipologie di trasporto dell’epoca.
L’invasione napoleonica di fine ‘700, in Toscana e quindi nel nostro Mugello, si portò dietro, oltre ai soldati, anche tanti artigiani del legno, del ferro, dell’argilla e in modo particolare del vetro. I famosi “maestri vetraj” francesi. Si installarono in questo grande edificio – senza chiedere il permesso – (anche il Monastero domenicano di Santa Caterina fu profanato e in parte semidistrutto), dove svettava una torre con tanto di orologio e meridiana, aprendo una grande officina dove venivano lavorati i cristalli ed il vetro.
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Ecco alcuni loro nomi: Burgoin Aghostin (fabbricante di lastre), Gresly Henri (direttore della fabbrica di cristalli), Belisario Wiquel, maestro vetraista (sposò una ragazza borghigiana e impiantò il famoso emporio detto “Belisario” nel Corso), Baulè Carl (maestro di lastre), Laus Ferdinad, maestro di lastre, (sua figlia sposò un borghigiano e divenne nel tempo nonna di Beppe Maggi, sindaco di Borgo San Lorenzo nel 1946), Menin Gianbattiste (maestro di fusione), Plucher Francois (Ministro (!) della Fabbrica), ed altri ancora che si formarono una famiglia, quindi ne deduciamo che in diversi borghigiani scorre sangue…francese.
Una volta partiti i maestri vetrai francesi, tutto il complesso fu acquisito dalla famiglia Berretti possidenti e benestanti (una componente di questa famiglia si chiamava Cimadoce!) che ne fece un grande conceria. Poi nel secolo scorso, la vecchia “concia” come viene ancora ricordata, fu la prima caserma dei Reali Carabinieri, del Corpo dei Vigili del Fuoco, una operosa falegnameria, quindi diverse attività artigianali, compreso un prestigioso laboratorio di antiquariato. Ecco in brevis la storia di quell’antico edificio (rimase lesionato nella seconda guerra mondiale ad opera dei genieri tedeschi), che di acqua sotto i vari ponti sulla Sieve ne ha vista passare; altro che!
Una curiosità; ai primi del ‘900, come si nota nell’immagine vecchia, per entrare a passeggiare sui bastioni della Salceta (dove attualmente c’è il pallaio), e sui bastioni che delimitano il torrente le Cale, bisognava attendere la guardia municipale che aprisse la staccionata in legno con tanto di cancello, così come si entrava, con queste regole comunali, nei Giardini Municipali in piazza Dante. Ma ne riparleremo in un prossima puntata.
Foto 3: Un gruppo di carabinieri in alta uniforme, posano all’interno della prima caserma alle “Conce”. In alto al centro si legge “fienile” e a destra “pagliaia”. Il comandante, seduto al centro, è il Tenente Giovanni Mantese.
Foto 4: Il Sor Angelo Berretti, appassionato pescatore, proprietario dell’immobile delle “Conce” mentre rientra a casa, davanti alla vecchia Caserma dei Vigili del Fuoco.
(Foto e archivio A.Giovannini)