Bambini Saharawi © nn
Da domenica 11 agosto, un gruppo di bambini del popolo Saharawi, accompagnati dai loro referenti, è ospite delle associazioni di Pontassieve per un soggiorno che si protrarrà fino al 21 agosto. L’iniziativa, coordinata dall’associazione Saharawi Insieme, coinvolge numerose realtà locali e amministrazioni comunali, confermando una tradizione di accoglienza che va avanti da oltre trent’anni. L’arrivo dei piccoli, ribattezzati Piccoli Ambasciatori di Pace, è stato salutato dall’amministrazione comunale con una cerimonia ufficiale. Presenti il sindaco Carlo Boni, il vice sindaco Filippo Pratesi, l’assessora Martina Betulanti, e le consigliere Paola Veratti, Lucia Hervatin ed Eleonora Palchetti, oltre a numerosi rappresentanti delle associazioni coinvolte. In questa occasione è stata conferita ai giovani ospiti la cittadinanza onoraria simbolica, un gesto che vuole testimoniare la vicinanza della comunità pontassievese alla causa Saharawi.
Come ogni estate, il soggiorno in Valdisieve è pensato per offrire ai bambini un periodo di serenità, attività ricreative e cure mediche, lontano dalle difficili condizioni dei campi profughi. La loro presenza è anche occasione per sensibilizzare la cittadinanza sulla situazione del Sahara Occidentale, territorio in conflitto dal 1975, anno in cui l’ex colonia spagnola venne occupata dal Marocco. Da allora, migliaia di Saharawi vivono in esilio nel deserto dell’Algeria occidentale, in attesa di un processo di autodeterminazione mai completato.
Il legame tra Pontassieve e il popolo Saharawi è radicato: dal 1987, il Comune partecipa attivamente a iniziative di cooperazione internazionale a sostegno della loro causa. Questo impegno si rinnova ogni anno grazie alla collaborazione tra istituzioni e associazioni, che organizzano viaggi, eventi e momenti di scambio culturale.
Il soggiorno dei bambini Saharawi a Pontassieve si concluderà il 21 agosto, ma il messaggio di solidarietà e amicizia lanciato dalla comunità resterà vivo. L’accoglienza di questi piccoli ospiti rappresenta non solo un atto di ospitalità, ma anche un segno concreto di sostegno a un popolo che da quasi cinquant’anni attende di vedere riconosciuto il proprio diritto all’autodeterminazione.


