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Multiutility Toscana? La riflessione del sindaco di Vaglia Borchi

un’operazione industriale e finanziaria importante, con grandi conseguenze economiche e politiche.

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Il sindaco Leonardo Borchi Il sindaco Leonardo Borchi © Comune di Vaglia
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Volentieri,  in attesa del dibattito che si terrà a Dicomano,  rilanciamo la riflessione del sindaco di Vaglia,  Leonardo Borchi:

UNA MULTIUTILITY TOSCANA PER GESTIRE INSIEME ACQUA, LUCE, GAS E RIFIUTI: CHE NE SAI?

E’ stato avviato un percorso che deve portare a formare una multiutility toscana per poter gestire acqua, potabile e di fognatura; distribuzione di energie, elettrica e gas; il ciclo dei rifiuti. E’ un’operazione industriale e finanziaria importante, con grandi conseguenze economiche e politiche.

Cerco di sintetizzare obiettivi e ricadute.

Intanto multiutility sta per società di società, una holding, che opera nel campo dei servizi. Il primo passo previsto del piano è riunire, incorporare in ALIA SpA, che è il nostro gestore dei rifiuti, Consiag SpA, gas; parte di Publiacqua SpA, acqua appunto, attraverso Acqua SpA. In un secondo passaggio, sarebbero conferite in ALIA le quote che il Comune di Firenze detiene in Toscana Energia, altro gas, ed un altro piccolo pacchetto di quote di Publiacqua detenuto dal Comune di Pistoia.

Successivamente ALIA si trasformerebbe in una nuova società (chiamiamola ALIA II) in cui entrerebbero potenzialmente le partecipazioni che Coingas SpA e Intesa SpA hanno in E.S.T.R.A. SpA, che opera sempre nel mercato del gas. L’operazione di concentrazione di società non sarebbe finita, perché si ipotizza l’ingresso di ulteriori società, che operano nei servizi in Toscana, allo scopo di aumentare il capitale sociale per infine quotare la nuova ALIA in borsa, con un collocamento fino al 49% del capitale a terzi. Conditio sine qua non è che: la maggioranza del capitale, il 51%, rimanga ai soci pubblici e che il Comune di Firenze rimanga socio di maggioranza.

A che pro tutto questo?

Per creare una società forte che possa contrastare sul mercato le multiutility oggi già esistenti, radicate al centro-nord d’Italia: a2a, lombarda; Hera, emiliana; iren, piemontese; Acea, romana.

L’obiettivo poi di quotarsi in borsa ha lo scopo di riuscire ad avere più prestiti dalle banche e quindi più possibilità di espansione.

Come detto, questa operazione è in capo ai comuni o alle società a capitale pubblico (vedi Publiservizi SpA) che hanno in mano quasi tutto l’azionariato delle società coinvolte (in Publiacqua il socio privato detiene ancora il 40% di quote). Ma è più corretto dire che l’operazione è stata voluta, pianificata e gestita dai Comuni di Firenze, Prato, Pistoia ed Empoli. Tutti gli altri comuni, più o meno piccoli, vengono a ruota: o mangi questa minestra o salti dalla finestra. 

Personalmente non mi va di ingollare questa minestra e ve ne dico i motivi.

Non entro nel merito dell’operazione industriale e finanziaria. Non ne ho le competenze. Anche i relatori della stessa ammettono, tra le righe, che esiste un’alea piuttosto grande in relazione alla sua riuscita. Questo lo affermavano già prima delle crisi energetica, ora ritengo che i margini di criticità si siano ulteriormente incrementati.

Probabilmente il disegno di creare una società in Toscana più forte, per capitale, operatività, estensione commerciale, corrisponde alle leggi di mercato. Va nella direzione di costituire un polo locale in grado di produrre più efficienza e più utili. Che poi, come dice Nardella, si pagherà meno la tassa sulla nettezza e le bollette dell’acqua…non penso proprio. Me lo hanno strombazzato troppe volte (vedi il porta a porta per quanto riguarda i rifiuti) perché siano convincenti.

Ma tralasciando questo punto, che è però dirimente (una società di cui l’azionariato sono in pratica i cittadini dei comuni toscani, che fa un tonfo in borsa, non è un’eventualità trascurabile!) ci sono per me tre altri motivi di base che mi impediscono di apprezzare il piano.

Primo. Lo posso sintetizzare in un’affermazione, che sa tanto di slogan sbrigativo, me ne scuso, ma è plastico: “Io, sindaco, voglio fare l’amministratore di servizi ai cittadini e non l’imprenditore!”

Entro nel merito, di cui sopra, consapevole che sto per fare un polverone, rimettere in discussione equilibri e portati ideologici scontati. Passerò per utopista, velleitario, ingenuo. Che sia.

Vediamo perché. Le funzioni dell’Ente Comune sono disciplinate per legge: il sindaco, quale suo legale rappresentante, deve portare alla scuola dell’obbligo gli alunni; si deve preoccupare dei minori non accompagnati; deve fornire l’acqua potabile e realizzare le fognature; autorizzare e controllare l’edilizia privata e pubblica; costruire e mantenere la viabilità comunale, sovrintendere all’incolumità pubblica…Il resto delle competenze, ancora tante, ve lo risparmio.

Per ottenere questi obblighi, nonché obiettivi, l’Ente Comune può operare in economia o con affidamento dei servizi a terzi, compreso ditte esterne, private oppure partecipate.

Se il servizio, mettiamo la gestione dei rifiuti, lo affido a una società di cui sono anche socio, vuol dire che nello stesso tempo sono: a) committente, quindi fruitore, b) controllore, c) dipendente dagli esiti della società: utili e perdite.

Faccio un esempio reale proprio con ALIA. Nel 2021, la società aveva accumulato circa 51 milioni di euro di rosso rispetto al Piano Economico Finanziario previsto per l’anno precedente: quanto in pratica gli veniva riconosciuto dal Consorzio dei comuni da caricare nella bolletta degli utenti. Noi sindaci, nel contempo responsabili del servizio nei confronti dei cittadini, ma anche azionisti, in quota parte molto diversa, della società, ci siamo trovati tra l’incudine ed il martello, di fronte a due scelte comunque penalizzanti: a) riconoscere ad ALIA, che aveva avuto maggiori costi operativi e minori entrate per la mancata vendita della differenziata (la Cina e l’India non la compravano più) 

un maggiore introito dalle bollette, che voleva dire maggiori costi per i cittadini; oppure, b) ricapitalizzare la società, con fondi propri di bilancio, quindi sempre con soldi della fiscalità generale dei cittadini, i 51 milioni che mancavano. In questa ultima ipotesi il Comune di Vaglia, ho fatto allora un calcolo a braccio, secondo le proprie esigue partecipazioni in ALIA, avrebbe dovuto sborsare circa 9.000 €. Il Comune di Firenze 40 milioni!

All’epoca il Comune di Vaglia, con solo altri tre comuni, votò contro l’aumento in bolletta.

Questo dilemma, io sindaco, se appalto il servizio ad un soggetto, con cui non sono coinvolto in società, non ce l’ho. Se il soggetto fallisce non trascina con sé il comune e quindi i cittadini non saranno caricati dei costi. Tutt’al più dovrò trovarmi un altro affidatario del servizio.

Quindi quale è l’alternativa? L’economia la svolgano i privati. Manca in Toscana una società multiservizi adeguata? I privati se ne facciano imprenditori. Il comune, un sindaco e quindi i cittadini si devono accollare il rischio di impresa?! Come accennavo prima, una volta che si è costituita la multiutility ed è stata quotata in borsa, io sindaco, tutte le mattine devo controllare sul borsino del Sole 24Ore quanto valgono le azioni dei miei concittadini, magari in mezzo ad una tempesta speculativa?!

Secondo. Più specifico, l’acqua. Ad oggi, in qualità di socio azionario di Pubbliacqua SpA, subisco, nell’assemblea dei soci, le scelte del Comune di Firenze, di Pistoia e Consiag (vedi Prato) che da soli hanno la maggioranza e decidono. Domani quando Publiacqua stessa rappresenterà solo una piccola quota parte della società holding, ma che peso avranno le stesse assemblee di Publiacqua?!

E allora l’acqua, che deve essere bene comune, e che sarà trattata come merce qualunque in funzione dei profitti, dei dividendi dei soci, che fine farà? Siamo ben lontani dall’obiettivo che il referendum aveva indicato.

Terzo motivo. Una nota autobiografica. Sarà stato l’anno 2008. Al Circolo ARCI delle Caselline si tenne la prima riunione locale del nuovo Partito Democratico. Era presente un alto esponente, un europarlamentare, intorno a cui si svolgeva il dibattito politico. Presi la parola e tra l’altro dissi: “Sarà mai possibile che con questo partito, in Toscana, non si abbia più il “comitato d’affari” come con il PCI e PdS poi…?” (l’ho premesso: sono un utopista o un ingenuo). Calò nella stanza l’imbarazzo. L’europarlamentare, in piedi, biascicò qualche cosa e vide bene di lasciar cadere il discorso.

Quell’europarlamentare, sei anni dopo, me lo sarei ritrovato, come avversario, candidato a sindaco a Vaglia. Era Guido Sacconi.

Se si vuole che ci sia trasparenza ed equità nelle scelte politiche ed amministrative negli enti, i politici devono fare i politici e gli imprenditori essere svincolati dalla politica. Un assuntore di lavori pubblici, per un sindaco, non deve avere odore di chicchessia partito. Deve svolgere il suo incarico con la migliore efficienza, efficacia ed economicità per i cittadini. 

Caratteristica che non si avvererà mai quando gli ex politici vanno a ricoprire le poltrone di amministratore delegato di società, che lavorano per gli stessi enti da cui provengono o proverranno i suoi consiglieri.

Se ne volete sapere di più venite a Dicomano sabato 17 settembre, ore 16:00 nei locali Ass. Accademia, piazza Repubblica 26/27.

Augh.

Il Sindaco Leonardo Borchi

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